Dalla pesca tradizionale dei polpi in Giappone alla ‘Sindrome del Crepacuore’

E’ la cardiomiopatia Tako-Tsubo, colpisce soprattutto le donne (90%) dopo la menopausa.  Secondo un recente studio pubblicato su NEJM potrebbe arrivare a tassi di mortalità simili a quelli dei pazienti ricoverati per infarto (5%)

MILANO – Si può morire di crepacuore? Sì. Lo hanno scoperto per primi i ricercatori giapponesi, che hanno chiamato questa particolare sindrome col nome di un vaso di ceramica per la pesca del polpo: tako-tsubo, una brocca col restringimento subito sotto il bordo arrotondato superiore.
Ne ha parlato Antonella Moreo, cardiologa del ‘De Gasperis Cardiocenter’ dell’Ospedale milanese di Niguarda, a una conferenza aperta al pubblico, promossa dal Collegio Italiano dei Chirurghi nell’ambito di Expo 2015.
Negli anni ’90 la prima descrizione. Nel 2000 la prima esperienza su 88 casi, ma si pensava a una sindrome tipica della popolazione giapponese. Solo negli anni successivi sono stati pubblicati lavori, non solo giapponesi, che hanno descritto ufficialmente questa sindrome come ‘cardiomiopatia Tako-Tsubo’.
Il primo caso documentato riguarda una donna di 77 anni che aveva avuto un lutto in famiglia. Era debole e senza forze, con la pressione bassa, ma quando al pronto soccorso le è stata infusa la dopamina, la pressione invece di aumentare, continuava a ridursi. I sintomi erano quelli dell’infarto, ma il successivo ecocardiogramma mostrava un cuore fuori dagli schemi: nella parte superiore si contraeva poco, mentre le contrazioni aumentavano molto nella parte inferiore, facendogli assumere una forma particolare, molto simile alla brocca giapponese (tsubo) per la pesca tradizionale del polpi (tako). Dopo le prime cure, però, le condizioni migliorarono finché la signora fu fuori pericolo.
Negli ultimi anni – spiega Antonella Moreo – la ricerca ha approfondito gli studi su questa cardiomiopatia, oggi nota anche come la ‘sindrome del crepacuore’, "preceduta da eventi altamente stressanti, mentali, emotivi (come una perdita). Ad esserne colpite sono soprattutto le donne dopo la menopausa (90%)”.
La prognosi, finora ritenuta generalmente favorevole, con mortalità dell’1%, ha recentemente subito  una correzione in negativo da uno studio recentemente pubblicato sul ‘New England Journal of Medicine’, frutto di una collaborazione  internazionale che per l’Italia ha coinvolto un gruppo di ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma. Secondo questa ricerca, infatti, la Sindrome Tako-Tsubo potrebbe arrivare a tassi di mortalità simili a quelli dei pazienti ricoverati in ospedale per infarto (5%). Resta il fatto che per curarla e guarirla (terapia di supporto basata su  farmaci beta-bloccanti, ACE-inibitori e anti-aggreganti), come conclude Antonella Moreo, “bisogna prima conoscerla”.
Ne ha parlato Antonella Moreo, cardiologa del 'De Gasperis Cardiocenter' dell'Ospedale milanese di Niguarda, a una conferenza aperta al pubblico, promossa dal Collegio Italiano dei Chirurghi nell'ambito di Expo 2015.
Negli anni '90 la prima descrizione. Nel 2000 la prima esperienza su 88 casi, ma si pensava a una sindrome tipica della popolazione giapponese. Solo negli anni successivi sono stati pubblicati lavori, non solo giapponesi, che hanno descritto ufficialmente questa sindrome come 'cardiomiopatia Tako-Tsubo'.
Il primo caso documentato riguarda una donna di 77 anni che aveva avuto un lutto in famiglia. Era debole e senza forze, con la pressione bassa, ma quando al pronto soccorso le è stata infusa la dopamina, la pressione invece di aumentare, continuava a ridursi. I sintomi erano quelli dell'infarto, ma il successivo ecocardiogramma mostrava un cuore fuori dagli schemi: nella parte superiore si contraeva poco, mentre le contrazioni aumentavano molto nella parte inferiore, facendogli assumere una forma particolare, molto simile alla brocca giapponese (tsubo) per la pesca tradizionale del polpi (tako). Dopo le prime cure, però, le condizioni migliorarono finché la signora fu fuori pericolo.
Negli ultimi anni - spiega Antonella Moreo - la ricerca ha approfondito gli studi su questa cardiomiopatia, oggi nota anche come la 'sindrome del crepacuore', "preceduta da eventi altamente stressanti, mentali, emotivi (come una perdita). Ad esserne colpite sono soprattutto le donne dopo la menopausa (90%)”.
La prognosi, finora ritenuta generalmente favorevole, con mortalità dell'1%, ha recentemente subito  una correzione in negativo da uno studio recentemente pubblicato sul 'New England Journal of Medicine', frutto di una collaborazione  internazionale che per l'Italia ha coinvolto un gruppo di ricercatori dell'Università Cattolica del Sacro Cuore e del Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma. Secondo questa ricerca, infatti, la Sindrome Tako-Tsubo potrebbe arrivare a tassi di mortalità simili a quelli dei pazienti ricoverati in ospedale per infarto (5%). Resta il fatto che per curarla e guarirla (terapia di supporto basata su  farmaci beta-bloccanti, ACE-inibitori e anti-aggreganti), come conclude Antonella Moreo, “bisogna prima conoscerla”.