Per la serie di interviste dedicate ai prestigiosi componenti del comitato scientifico di UNAMSI abbiamo incontrato il Professor Silvio Garattini, Presidente e fondatore dell’Istituto di Ricerche “Mario Negri”.
Prof. Garattini, come nasce la sua vicenda professionale con il Mario Negri?
Siamo negli anni Cinquanta del secolo scorso e io avevo fatto una rapida carriera in Università. Unanno dopo la laurea ero già libero docente e aiuto all’Istituto di Farmacologia. Ero fortemente attratto dal sistema della ricerca che si conduceva negli Stati Uniti dove il tempo impegnato in questo ambito era molto superiore a quello che dedicavamo noi in università. Era un aspetto operativo che mi preoccupava e attraeva molto. In quegli anni la gestione dei fondi per la ricerca era appannaggio del Consiglio Nazionale delle Ricerche che, accogliendo una mia domanda, mi permise di viaggiare per due mesi negli USA entrando in contatto con i maggiori centri di ricerca pubblici e privati di quel Paese. L’industria farmaceutica, per esempio, aveva organizzato centri all’avanguardia mondiale. Visitai anche unità di ricerca di ospedali e di centri per la salute mentale. Dopo questo viaggio giunsi a due considerazioni: la prima era che la ricerca negli Stati Uniti era una professione. Poi avevo conosciuto i meccanismi che regolavano le fondazioni che nel nostro paese raccoglievano danaro per darlo ad altre organizzazioni mentre negli USA lo utilizzavano per i loro laboratori di ricerca. Al mio ritorno dal viaggio, avevo ventinove anni, dissi ai miei collaboratori che se si doveva fare ricerca seriamente o si andava negli USA o, in Italia, avremmo dovuto cambiare i nostri modelli di riferimento primo tra tutti l’università, caratterizzata da lentezze e burocrazia. Fare qualcosa di diverso significava inizialmente trovare fondi per lanciare una nuova idea di centro di ricerca e io, ingenuamente, quando incontravo persone che ritenevo in grado di aiutarmi, proponevo il mio modello di fondazione e le risposte che ottenevo sviluppavano con sfumature diverse opzioni attendiste sostenute dal futuro del verbo vedere. Nel 1959 venne nel mio istituto universitario Mario Negri, un gioielliere con forte sensibilità commerciale. Egli aveva capito nel dopoguerra che il gioiello artigianale era troppo costoso per un pubblico ancora in forte difficoltà economica e così aveva iniziato a produrre il gioiello industriale organizzando una grande distribuzione dei suoi apprezzati oggetti. Negri, senza eredi e da poco vedovo, disponeva di un patrimonio notevole che aveva diversificato investendo anche in una società farmaceutica la Farmacosmici. In questa società l’imprenditore con un chimico, il professor Carlo Runti di Trieste, individuava delle molecole e cercava qualcuno che gliele testasse.In assenza del direttore parlò con me. Eseguii i test che mi aveva chiesto e Negri tornò ancora un paio di volte nel mio laboratorio per altre analisi. Furono queste le occasioni per parlargli del mio progetto e intuii il suo interesse. Purtroppo a Negri venne diagnosticato tardivamente un tumore al colon che agli inizi del 1960 lo portò alla morte. Lasciò un testamento che prevedeva la fondazione di un istituto a suo nome che doveva avere come componenti del consiglio d’amministrazione il rettore dell’università, presidi della facoltà e mi nominava direttore.Ero il solo ad essere indicato nominalmente mentre gli altri membri del cda erano ex officio e quindi cambiavano come avviene per i rappresentanti delle istituzioni.Così con un anno di lavoro e con la grande ostilità dell’università misi a punto il progetto della fondazione. Correva l’anno 1960 e nel ‘61 veniva approvato lo statuto della Fondazione e il primo febbraio del ‘63 iniziava l’attività dell’Istituto Mario Negri a Quarto Oggiaro fino al 2007 quando ci siamo spostati in questa nuova sede alla Bovisa.
Quali furono i principi fondanti dell’attività del Mario Negri?
L’idea centrale era, ovviamente, fare ricerca a tempo pieno nelle aree nelle quali ero già impegnato con le mie attività: farmacologia, oncologia, cardiovascolare e sistema nervoso centrale. Lo scetticismo sulle nostre attività era un sentimento comune tra coloro che ci osservavano ed in particolare si pensava che non saremmo riusciti ad attrarre dei giovani. Invece con la scuola triennale per tecnici di laboratorio abbiamo avuto con noi un gran numero di ragazzi. Molti tra questi che giungevano da noi dopo la terza media hanno poi completato gli studi fino alla laurea e alcuni sono giunti fino a dirigere i laboratori. Quindi il Mario Negri si occupa di ricerca, formazione ma sviluppa anche una forte attenzione verso l’informazione per aiutare le persone a capire i problemi che minacciano la nostra salute. Ricordoa questo proposito, ed ero ancora all’università, i dibattiti sul fumo quando si pensava che quest’ultimo facesse bene. Nel tempo abbiamo irrobustito l’attività formativa varando una scuola in farmacologia per laureati. Oggi è in corso un accordo con l’inglese Open University che permette di conseguire i PHD. L’Istituto può vantare una forte autonomia formativa potendo gestire percorsi di laurea e PHD. Si tratta di un’opzione importante considerando che l’Italia ha il minor numero di laureati in ricerca in Europa.
Uso e abuso dei farmaci. Dietro queste due parole si agita un mondo: dalla ricerca alla finanza,dal valore fondamentale per la nostra salute con la somministrazione di farmaci di eccellente qualità terapeutica alla promozione di sostanze figlie dell’illusione. Come si può difendere il paziente?
Quello che ho osservato nella storia della medicina che io ho vissuto in questi sessant’anni e più, il mio primo lavoro scientifico risale al 1952, è che paradossalmente il maggior danno si è compiuto ponendo come obiettivo fondamentale della medicina le cure. Senza voler minimizzare quanto è stato fatto in questo ambito vorrei sottolineare che l’attenzione alle cure ha creato un grande mercato, solo in Italia vale più di 200 miliardi di euro, e non conosciamo mercati che non vogliano continuamente incrementare le loro posizione. Ciò avviene anche con la medicina. Ecco perché io penso che il mercato, oltre aver offerto soluzioni importantissime, ha creato molti danni; per crescere mette spesso in atto operazioni che sono contrarie al bene comune. Se dico che il colesterolo va curato quando ha il valore di duecento quaranta curo un certo numero di persone se abbasso a duecentoventi ne curo molte di più. Se dico, infine, che deve essere più basso possibile nessuno resisterà a una statina. La stessa strategia la posso applicare per l’ipertensione o per la glicemia. Tornando al colesterolo è frequente osservare pazienti soddisfatti per averlo ridotto drasticamente e non si preoccupano così del vero problema che è la possibilità di essere colpiti da un infarto. Il mercato nasconde quali sono le probabilità del paziente. Noi sappiamo che dobbiamo trattare per dieci anni cento persone affinché una non abbiaun infarto. Ciò significa che ne trattiamo novantanove inutilmente.I novantanove avranno tutti gli effetti collaterali delle statine che non sono lievi. Ciò dimostra cosa significa nascondere le probabilità al paziente. Anche la legislazioneè a favore del mercato. Infatti, per la messa in commercio di nuovi farmaci sono necessarie tre caratteristiche: qualità, efficacia e sicurezza. Ottimi principi. Ma se, per esempio, viene proposto un antidiabetico non ci si domanda quali caratteristiche particolari abbia nei confronti degli altri settantacinque che sono in commercio. Questo requisito non è richiesto anche perché, se così fosse, rimarrebbe solo il farmaco con le caratteristiche migliori e tutti gli altri dovrebbero uscire dal mercato. Altro argomento sostanziale quando si parla di uso e abuso di farmaci è che questi ultimi sono studiati quasi esclusivamente per la popolazione maschile dai 20 ai 75 anni, le donne ricevono farmaci messi a punto solo per i maschi, quando sappiamo che le donne contraggono malattie che hanno lo stesso nome di quelle che colpiscono i maschi ma presentano sintomi diversi. Il mercato che deve crescere ci fa ignorare che la gran parte di malattie sono evitabili. Osserviamo quattro milioni e mezzo di diabetici di tipo 2 ma siamo al cospetto di una malattia evitabile. E lo è osservando buone regole di vita.La mancata prevenzione conduce poi questi pazienti verso patologie diverse che gravano sul servizio sanitario nazionale. Anche il 40 per cento dei tumori è evitabile, nonostante ciò ogni anno muoiono centottantamila persone per malattie oncologiche. Abbiamo bisogno di una grande rivoluzione culturale che metta al primo posto l’elemento centrale della medicina: la prevenzione. Il mercato teme la prevenzione. Abbiamo bisogno di promuovere una scuola superiore di sanità ed in questo UNAMSI può essere partner importante per sostenere questa fondamentale iniziativa. Poter contare su un gruppo dirigente formato professionalmente sui temi della sanità sarebbe essenziale per poter ottenere un impegno verso la prevenzione molto più deciso, anche solo perché veicolo di riduzione della spesa del servizio sanitario nazionale. La stessa competenza la dovremmo trovare nelle scuole di ogni ordine e grado dove dovrebbe essere istituita un’ora d’insegnamento alla settimana dedicata all’educazione alla salute.I benefici socioeconomici sarebbero enormi.Infine, non bisogna dimenticare il tema dell’informazione indipendente che è completamente carente. I medici sono informati dal marketing delle industrie cosi come le società scientifiche o le associazioni dei pazienti. Nessuno protesta perché fa comodo a tutti avere dei sostegni per le loro attività. Ciò significa però che viene a mancare un’informazione indipendente.
La sua attività e quelle del Mario Negri hanno sempre destato forti preoccupazioni e avversioni nel settore farmaceutico ed alimentare. Come ha fatto a sopravvivere nonostante queste attenzioni non proprio benevole?
Credo che anche i miei detrattori riconoscano la coerenza e l’onestà mia e del Mario Negri. Io parlo con tutti e anche con i rappresentanti dell’industria.
In passato si diceva che lei il Mario Negri foste contrari alla sperimentazione animale, essenziale per valutare gli effetti dei farmaci sull’uomo e anche sugli stessi animali.Ci chiarisce la sua posizione?
Noi siamo favorevoli alla diminuzione dell’utilizzo di animali nei laboratori. Oltre ciò, noi utilizziamo ratti, topi e conigli che sono osservati in una vera e propria clinica, pensi che abbiamo la risonanza nucleare magnetica per i topi, la TAC e l’elettrocardiografie. Anche in questo caso noi cerchiamo di offrire un modello che preveda che esseri viventi vengano trattati nel miglior modo possibile. Certo chi ha stabulari organizzati in modo indegno può temere le reazioni di chi, come noi e tanti altri, segue delle prescrizioni molto precise per la sperimentazione animale. Le nuove tecnologie, la chimica, le biotecnologie permettono di ridurre grandemente l’utilizzo di animali per le sperimentazioni e quindi nel tempo abbiamo ridotto esponenzialmente questi interventi.
Un elemento sostanziale per il rapporto tra cittadino, malattie e cure è l’intervento del medico di base che svolge anche un compito di tipo formativoe culturale nei confronti dei suoi assistiti. Come si è evoluto questo rapporto oppure come molti lamentano, come si è inaridito?
Sì, capire e aggiornare l’attività dei medici di base è un altro degli obiettivi del Mario Negri. Infatti, abbiamo organizzato un centro studi per analizzare le attività di questi medici e offrire indicazioni per migliorare il servizio. Per questo non godo della simpatia dei sindacati della categoria. Oggi il medico di base non ha più né il tempo né la competenza per lavorare da solo. Se noi ricordiamo che un medico di medicina generale in Lombardia può avere fino a 1.800 mutuati e rimane in ambulatorio per dodici ore alla settimana come può seguire con attenzione tutti i suoi pazienti. Il risultato è che questi ultimi si riversano nei pronto soccorso. Va attivato il progetto, sostenuto anche dal ministero, delle case di comunità che ad oggi non funzionano perché non si ha il coraggio di obbligare i professionisti a seguire questa indicazione. Per una casa di comunità servono una ventina di medici di medicina generale e gli ambulatori devono essere aperti per otto ore sette giorni alla settimana. Devono essere presenti degli infermieri e deve essere attiva una segreteria informatica che sia in grado di gestire tutti i pazienti anche senza la presenza del medico curante. Oltre ai medici di base, si deve poter trovare il pediatra di famiglia, lo psicoterapeuta, il fisioterapista, apparecchiature semplici dedicate agli esami di routine.In alcune regioni del Paese questo modello è attivo e funziona. Queste carenze che riscontriamo nell’assistenza ci fanno tornare all’aspetto critico dovuto alla scomparsa dei medici dal territorio. Essi dovrebbero essere centrali non solo nella cura ma anche nella prevenzione. Ma ciò non avviene e dobbiamo tornare alle case di comunità dove il paziente deve poter trovare qualcuno competente magari solo per parlare. Sappiamo quando sia importante a volte poter avere solo un confronto verbale con un professionista che fughi sospetti e angosce. Tante carenze nel rapporto medico paziente che sono sotto gli occhi di tutti potrebbero essere sanate se questi medici fossero dipendenti dello stato. Se noi avessimo avuto i 40 mila medici del servizio sanitario nazionale dipendenti in quindici giorni avremmo vaccinato tutti gli italiani al tempo del COVID. Abbiamo invece dovuto ricorrere all’esercito.
Ambiente e salute, che è anche un campo di ricerca di un dipartimento del Mario Negri, sono un binomio che influenza in maniera determinante la nostra vita. Le sostanze chimiche presenti nell’aria sono veicoli, specialmente nelle grandi città, di gravi patologie. Che dimensioni ha questo fenomeno e cosa dobbiamo aspettarci in futuro?
Si può notare una maggior attenzione verso i problemi che riguardano ambiente e salute.Ènecessaria però qualche considerazione generale. Esiste il libero arbitrio delle persone. Se tu sei un fumatore e vuoi continuare a fumare peggio per te. La tua libertà finisce quando inficia la mia di libertà.Quando un gruppo di persone aspetta l’autobus io non posso tollerare chi fuma tra costoro. Nei parchi non si deve fumare,nei ristoranti all’aperto con tavoli vicini nemmeno. Si calcola che ogni anno dobbiamo contare circa mille morti a causa del fumo passivo. In Italia, fumiamo circa 51 miliardi di sigarette all’anno, si pensi quanto giunge nell’aria e i miliardi di mozziconi che vanno sul terreno. Noi abbiamo diritto ad una difesa. Un modo potrebbe essere quello di aumentare il costo delle sigarette. Se anche da noi invece di avere un prezzo medio delle sigarette di 4,5 Euro si facessero pagare 14 euro al pacchetto come in Francia potremmo pensare ad una riduzione delle patologie legate al fumo. Si pensi che in Australia e in Nuova Zelanda un pacchetto di sigarette costa 35 euro. Avere in Italia ancora 12 milioni di fumatori vuol dire che poi costoro, in virtù delle ben 27 patologie correlate, diventeranno clienti del servizio sanitario nazionale con tutte le ripercussioni che ciò comporta. Le stesse indicazioni valgono per l’alcol, notoriamente cancerogeno, per il quale arriviamo a fare persino dei festival, come nel caso del vino. Si pensi a quanti incidenti stradali avvengono a causa dell’alcol. Dovrebbero essere obbligatori gli alcol test nei ristoranti per evitare che chi ha un tasso alcolico rilevante si metta alla guida. Oppure sviluppare l’installazione di sensori nelle auto che le bloccano se il guidatore ha un tasso alcolico elevato.
Dal fumo alle droghe. Le analisi sulle acque reflue di Milano effettuate anche dal suo Istituto segnalano una progressione impressionante sui volumi delle sostanze utilizzate e sulle modalità temporali degli utilizzi, cosa si può fare?
I nostri dati segnalano un incremento costante nell’uso di droghe. Tra il 2020 e il 2024 registriamo un aumento del 30/40%. Dalla cannabis alla cocaina che si acquista a prezzi sempre più bassi. Vi sono poi tutti i derivati dell’anfetamina che si ordinano on line e arrivano direttamente a casa. Cosa fare? Inutile proibire. Anche in questo caso dobbiamo parlare di educazione. Se vi fosse uno spazio didattico dedicato alla salute potremmo parlare anche dei drammatici effetti sulla salute prodotti dalle droghe, dal fumo, dall’alcol. Il mio manuale “La salute spiegata ai ragazzi” (Francesco Brioschi editore) è stato distribuito dai medicinelle scuole lungo la penisola, dal Monferrato alla Sardegna. La reazione dei ragazzi è stata molto positiva. Queste iniziative non possono però essere sporadiche, serve una strategia fondata sulla continuità gestita dai giovani. Essi non accettano più gli interventi degli adulti. Noi parliamo un linguaggio superato che non raggiunge i ragazzi. Abbiamo fallito nel processo educativo. Dobbiamo passare la mano agli elementi più sensibili delle nuove generazioni.
La popolazione anziana è in costante aumento nel nostro Paese. Spesso costoro sono travolti da consigli e pressioni perché adottino terapie, a volte inutili. Ciò anche perché gli anziani rappresentano una risorsa economica consistente. Come aiutarli?
Gli anziani sono le principali vittime del mercato.Noi abbiamo messo a punto uno strumento di valutazione denominato “reposing”. Qui raccogliamo le prescrizioni da più di cento unitàdi medicina interna da tutta Italia. Osserviamo anziani ai quali vengono somministrati 15 farmaci al giorno. Non esiste nessuno studio al mondo che indichi che 15 farmaci curino più di 10 o che 10 siano più efficaci di 5. In questi casi si creano delle interazioni incontrollate tali che nemmeno l’intelligenza artificiale è in grado di predire. Se è noto che i vantaggi di una statina per un paziente si evidenziano a dieci anni è inutile prescriverla ad un ottantenne. Devo intervenire su patologie gravi che colpiscono un anziano e non focalizzarmi su questioni modeste. Nostri sudi ci segnalano che pazienti a dieci giorni dal decesso assumono ancora statine. Serve attenzione e sensibilità per trattare soggetti fisicamente e psicologicamente fragili.
Com’è cambiata l’informazione medico scientifica in questo scorcio del nuovo millennio?
Si deve premettere che la ricerca farmacologica e suoi risultati per quanto riguarda l’individuazione di nuove molecole lavora su complessità tali da essere difficilmente decifrabili da chi non ha una formazione scientifica di alto livello. L’informazione, in generale, è danneggiata dall’enorme presenza della pubblicità. Anche giornali che tentano di adottare linee editoriali attente alle esigenze dei lettori vengono poi compressi dalla presenza consistente della pubblicità. Non vi sono controindicazioni purtroppo. Dovremmo promuovere la creazione di un giurì che valuti la pubblicità nelle pubblicazioni dedicate alla salute. Abbiamo pubblicato uno studio che aveva l’obiettivo di valutare la pubblicità delle principali reti televisive. Il 70 % della pubblicità nelle ore che vedono la presenza di giovanissimi telespettatori contrasta con i principi di salvaguardia della salute per i bambini. Noi continuiamo, nonostante tutto, a denunciare le comunicazioni ingannevoli come quelle che definiscono farmaci quei preparati che non hanno alcun valore terapeutico. Volutamente si confondono alimenti con farmaci. Non è un caso se il mercato dei “cosmetici farmaceutici” valga dodici miliardi all’anno.
La sua prolifica attività editoriale aggiunge in questi giorni un nuovo titolo al suo personale ed apprezzato catalogo: “Vivere bene.L’attività fisica:cosa, come, quanto, quando … e perché” (Ediziono San Paolo). Che argomenti affronta?
Si tratta di una raccolta d’informazioni che evidenziano tutte quelle attività motorie che hanno a che fare con la salute segnalando anche quelle che possono essere dannose. Una sezione del libro è dedicata ad attività motorie e alimentazione e un’altra ancora dimostra come l’attività motoria sia elemento determinante per quanto riguarda la prevenzione delle malattie. Per esempio, chi dedica tempo a queste attività ha meno probabilità di essere colpito dal diabete 2 perché grazie a questo impegno è attento all’alimentazione e quindi evita sovrappeso e obesità. Infine, il libro sottolinea quanto l’attività fisica sia una componente importante per costruire e rafforzare le relazioni sociali. In un nostro studio abbiamo seguito 2 mila ottantenni per quindici anni. Abbiamo verificato che il principale fattore di rischio per la demenza senile è l’isolamento. Evitare il rapporto con gli altri, non coltivare interessi condivisi e non partecipare ad eventi sociali come cinema e teatro è un grave errore così come abbandonare l’esercizio fisico.