Confermata l’azione di sbarramento dei linfociti contro l’avanzare del virus HBV, ma con l’appoggio ‘tattico’ delle piastrine. Secondo i ricercatori , le nuove tecniche permetteranno la comprensione di patologie di natura batterica, virale, parassitaria o tumorale
MILANO – Un decisivo passo avanti nello studio dell’epatite B. È quanto hanno compiuto i ricercatori dell’IRCCS – Ospedale San Raffaele di Milano, osservando per la prima volta dal vivo lo sviluppo della malattia.
Per mezzo di una nuova tecnica di microscopia in vivo è stato infatti possibile assistere in tempo reale a quella che potrebbe essere descritta come una vera e propria guerra per il dominio di un territorio (il fegato), con tanto di esercito invasore (le cellule virali – HBV) e di truppe difensive (le cellule dell’apparato immunitario). Le battaglie che si scatenano tra i due eserciti sono aspre e senza esclusione di colpi e sono loro che determinano i danni e i sintomi tipici dell’epatite.
Una volta allertato, il sistema immunitario mobilita un particolare tipo di truppe difensive, globuli bianchi chiamati linfociti, all’interno dei capillari del fegato, capaci di riconoscere e distruggere le cellule epatiche infettate dal virus HBV. E’ in questo momento che si avvertono i primi si tomi della malattia.
Tutto questo gia’ lo si conosceva, ma lo si comprendeva con prove scientifiche ‘a posteriori’. La grande novita’ sta nel fatto che ora questa ‘guerra’ puo’ essere osservata in diretta, quasi che un drone, dall’alto potesse riprendere il teatro della battaglia e osservare le srategie dei due eserciti contrapposti
Molti sono stati i segreti svelati dalla visualizzazione diretta di questi fenomeni, che hanno confermato come l’azione dei linfociti non sia del tutto autonoma, e che siano in realtà altre ‘truppe’ superspecializzate, le piastrine (e non – come si pensava – particolari molecole chiamate selettine, integrine e chemochine), a fungere da ‘agenti del controspionaggio’ e segnalare ai linfociti la presenza del nemico (le cellule virali). Proprio questi piccoli componenti del sangue, difatti, hanno la capacità di dar vita a una sorta di ‘tappeto appiccicoso’ in grado di fermare la corsa dei linfociti all’interno dei vasi sanguigni impedendo loro di penetrare piu’ in profondita’, come per invitarli a guardarsi attorno.
"E mentre scorrono sul tappeto piastrinico, i linfociti seguitano a infilare sottili tentacoli attraverso piccole fenestrature poste nella parete dei capillari, perlustrando così l’ambiente sottostante. Quando poi arrivano a identificare la cellula malata, al di là della parete del vaso, i linfociti usano i tentacoli per trasportarvi tossine mortali, mantenendo però il proprio corpo all’interno del vaso", spiegano Luca Guidotti e Matteo Iannacone, rispettivamente Responsabile del laboratorio di Immunologia e Vice-direttore scientifico e Responsabile del laboratorio di Dinamica delle risposte immunitarie, del San Raffaele.
Ma perche’ alla fine a vincere e’ troppo spesso il virus, anche se questo meccanismo funziona bene? Lo rivelano gli scienziati che, grazie proprio alla microscopia in vivo hanno anche spiegato lo stretto legame tra la cirrosi epatica e l’insorgenza del tumore del fegato: una delle caratteristiche della cirrosi e’ la riduzione del numero e del diametro delle normali fenestrature dei capillari del fegato. Cosi, non potendo più scorrere in profondita’ nei vasi epatici, i linfociti citotossici non sarebbero difatti più in grado di infilare i loro tentacoli nelle fenestrature e ciò limiterebbe di molto la loro capacità di identificare e distruggere le cellule malate al di là della parete dei capillari. Quando poi queste sono cellule del fegato che stanno acquisendo proprietà tumorali, il mancato riconoscimento da parte dei linfociti stessi permetterebbe loro di crescere indisturbate e di acquisire caratteristiche sempre più aggressive.
Le osservazioni del team dell’ospedale milanese, pubblicate sulla rivista scientifica "Cell", sono state messe a punto grazie alle tecniche messe a punto proprio da Guidotti e Iannacone, che concludono: "Le nostre tecniche di microscopia intravitale stanno illustrando lo svolgersi della malattia epatica in modi finora inimmaginabili e sicuramente queste informazioni aiuteranno lo sviluppo di nuove terapie per l’epatite B. Non solo, queste tecniche permetteranno una miglior comprensione di altre patologie epatiche di natura virale, batterica, parassitaria o tumorale per le quali non disponiamo ancora di adeguate terapie".