Protesi dell’anca: l’approccio anteriore riduce dolore e tempi di recupero

La nuova tecnica operatoria non seziona i muscoli e rispetta i nervi. Minore perdita di sangue durante l’intervento e una cicatrice più piccola. Poco ospedale e subito in piedi

BERGAMO – Tutto comincia con qualche dolorino all’anca, talvolta una sorta di prurito che compare per poi sparire dopo qualche giorno così com’è arrivato. “Maledetto inverno – pensi -, tutta colpa del freddo”. Non è facile, infatti, per un paziente pensare subito che il male dipende dalla dinamica articolare, dalla genetica e dall’invecchiamento. Arriva però il giorno che quel dolorino occasionale si trasforma in fitta, in dolore feroce. E non ti lascia più. E allora che comincia il calvario: fai fatica a salire le scale, a camminare. “Coxartrosi” è la diagnosi del medico. E quando il male ti impedisce anche di trovare la posizione giusta per dormire, significa che è arrivato il momento di rivolgersi all’ortopedico per valutare l’opportunità di una protesi artificiale. Ma attenzione, non è il caso di spaventarsi. Le moderne tecniche d’intervento e i materiali disponibili garantiscono le migliori prospettive: sottoporsi all’artroplastica totale d’anca permette di riconquistare benessere e un’ottima qualità di vita. Secondo Assobiomedica, oggi in Italia si eseguono circa 100mila interventi di protesi d’anca all’anno. I risultati sono buoni. Anche per questa ragione i numeri sono in aumento (5% all’anno) e l’età dei candidati si sta abbassando (20mila under 65 e 5mila under 50).

Quando ricorrere al chirurgo

Ma perché si ricorre alla protesi totale dell’anca? E’ presto detto: la coxartrosi provoca l’usura della cartilagine articolare dell’anca, portando la testa del femore a sfregare direttamente con la superficie ossea del cotile (che ha la forma di una coppa). Questo sfregamento provoca infiammazione, deformazioni ossee (osteofiti) e forti dolori. Arrivati a questo punto non ci sono rimedi farmacologici in grado di riportare la situazione alla normalità: la cartilagine non può ricrescere. Resta quindi la soluzione chirurgica. Con l’intervento si asportano la testa e il collo del femore che vengono sostituiti da uno stelo che termina con una testina che diventerà il perno dell’articolazione artificiale. Dall’altra parte, nel bacino, viene inserita la coppa acetabolare nella quale poggerà e ruoterà la testina.

Novità in sala operatoria

Oggi molti interventi di protesi totale d’anca vengono eseguiti con “approccio anteriore”, cioè utilizzando una via d’accesso (intermuscolare e internervosa) che non seziona i muscoli e rispetta i nervi. “L’intervento di protesi totale dell’anca è una delle operazioni chirurgiche di maggior successo dell’ortopedia – afferma Carlo Lauro Maria Trevisan, primario di Ortopedia Traumatologia dell’ospedale Bolognini di Seriate (Bergamo) -. Dopo l’intervento, infatti, oltre il 92% dei pazienti si dichiara soddisfatto. La moderna tecnica chirurgica con accesso anteriore, preservando l’integrità dei muscoli, protegge dal dolore post-operatorio, accelera la guarigione, la riabilitazione e migliora la stabilità dell’articolazione consentendo una precoce ripresa delle attività quotidiane che il paziente aveva prima della malattia”. L’accesso chirurgico anteriore offre grandi vantaggi al paziente perché il trauma chirurgico è nettamente inferiore rispetto alle tecniche precedenti. Non sezionare i muscoli implica infatti la riduzione del dolore post operatorio e una minore perdita di sangue durante l’intervento che dura meno di due ore e può essere eseguito con anestesia loco-regionale (spinale). Le trasfusioni sono rare e viene a ridursi anche il rischio di trombosi venosa profonda.

Ricoveri più brevi

La cicatrice cutanea è indubbiamente più corta (circa 7 centimetri) di quella degli interventi di un tempo. Ma soprattutto viene ridotta la permanenza ospedaliera e viene notevolmente accelerata la riabilitazione, che può anche iniziare lo stesso giorno dell’operazione. Con l’approvazione del chirurgo, infatti, il paziente può immediatamente alzarsi, stare in piedi e iniziare a camminare con le stampelle. “Mediamente il ricovero dura 5 giorni – spiega il professor Trevisan -, ma diversi pazienti sono in grado di andare a casa anche prima. Numerose ricerche scientifiche internazionali hanno dimostrato che meno un paziente sta a letto in ospedale, meglio è. Noi al Bolognini, organizziamo colloqui col paziente già un mese prima dell’intervento: gli spieghiamo il percorso del ricovero e i protocolli sanitari che applichiamo. Con la pianificazione attenta dei ricoveri e degli interventi, cerchiamo di impostare una degenza serena e collaborativa che aiuti il malato a diventare autonomo il più presto possibile”.

Tutti materiali biocompatibili

Tutti i materiali impiegati nella realizzazioni delle protesi artificiali per artroplastica totale d’anca sono assolutamente biocompatibili. La progettazione dei vari componenti nasce da accurati studi sulle caratteristiche morfologiche delle persone. Questo ha permesso di selezionare protesi con forme e dimensioni diverse tali da essere il più possibile aderenti alle esigenze di ciascun paziente. Anche l’accoppiamento dei differenti materiali può offrire prestazioni diverse. Gli accoppiamenti più utilizzati sono quelli di una testa in ceramica con un cotile in polietilene o in ceramica: entrambe queste soluzioni hanno evidenziato una bassissima usura delle superfici nel tempo. Consideriamo i materiali in dettaglio. Lo stelo femorale, cioè quel perno che viene alloggiato nel femore, può essere di lega di titanio, cromo-cobalto o acciaio. La sfera che costituisce la testa del femore è solitamente di ceramica. Dalla parte del bacino si applica una coppa acetabolare formata solitamente da una semisfera (cotile) di metallo che contiene un inserto (la parte a contatto con la testa del femore artificiale) di ceramica o di polietilene. Le protesi possono essere fissate a incastro o cementate.

Riabilitazione: dolce e naturale

Sembra banale, ma va detto subito che la riabilitazione post-intervento sarà tanto più soddisfacente e rapida quanto più attiva e motivata è la partecipazione del paziente al programma di recupero. Un fisioterapista impartisce subito dopo l’intervento le prime indicazioni, fornendo solitamente anche un foglio con la descrizione di alcuni semplici esercizi da fare per conto proprio. Dopo la dimissione, solitamente si segue una fase di riabilitazione funzionale per arrivare al completo recupero delle forze e al ripristino delle normali attività quotidiane. L’importante è comunque cominciare subito a camminare, dapprima con le stampelle, poi lentamente senza ausili, ma senza mai stancarsi troppo. Non accavallare le gambe, non ruotare l’arto operato e non portare pesi eccessivi per i primi due mesi. Attenti anche all’attività sessuale: da evitare l’eccessiva flessione ed extrarotazione dell’anca. Attenzione alle infezioni (carie dentarie) e non aumentare di peso. Le moderne protesi possono durare 20, 30 anni, ma tenete conto che la loro resistenza dipende anche dai carichi a cui vengono quotidianamente sottoposte.

Maurizio Maria Fossati