Partorire senza dolore: nei nuovi Lea l’anestesia epidurale

Ma non tutte le Regioni sono pronte. La direttrice di Anestesia del ‘Buzzi’ di Milano: ”Chiudere i Centri nascita con meno di 500 parti l’anno”.

MILANO – “E se non sopporto il dolore? Se non ce la faccio più, ho qualcuno che mi aiuta?” E’ una delle prime domande delle future mamme ai corsi in preparazione al parto. Molte donne riescono, se ben preparate, a tenere a bada l’ansia e la paura e a controllare la percezione del dolore durante il travaglio. Per altre invece il dolore può rappresentare una difficoltà in più.
Ora, nei nuovi Lea, i livelli essenziali di assistenza, previsti dal “Patto della Salute” c’è l’inserimento dell’anestesia epidurale nei parti naturali. Ma dalle buone intenzioni all’applicazione concreta e diffusa di questa pratica la strada è ancora lunga. E spetta alle Regioni riuscire a realizzare le indicazioni del Ministero della Salute. Oggi in Italia la situazione è molto variegata, ci sono realtà già ben attrezzate e zone (è il caso del Molise) dove l’utilizzo dell’epidurale è del tutto assente. Si va da centri di eccellenza che garantiscono l’analgesia in regime convenzionale 24 ore su 24, a moltissime altre strutture dove questa possibilità viene offerta solo saltuariamente e con difficoltà.
Spiega Ida Salvo, direttore di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale dei Bambini Buzzi di Milano: “L’analgesia epidurale (o peridurale) si può utilizzare, se la partoriente lo chiede, in ogni fase del travaglio: dalle prime doglie alla fase finale di espulsione. I dosaggi di anestetici sono bassi e la partoriente riesce a camminare, è libera di muoversi e assumere nel travaglio le posizioni che sono più confortevoli per lei”.
Come funziona? L’anestesista posiziona un piccolo catetere nella parte più bassa della colonna vertebrale, in uno spazio preciso della zona lombare, lo spazio peridurale. Attraverso un ago viene introdotto il catetere, quindi si rimuove l’ago e il dispositivo è pronto per la somministrazione dell’analgesico. Le altre sensibilità della partoriente restano inalterate, compresa quella delle contrazioni uterine che continuano a essere percepite in modo non doloroso. La forza muscolare non viene diminuita, per cui la donna mantiene la capacità di eseguire gli sforzi espulsivi, e il parto avviene con la piena partecipazione della futura mamma.
Prosegue la dottoressa Salvo: ”Sarebbe opportuno chiudere i centri nascita che registrano meno di 500 parti l’anno, meglio ancora mantenere solo le strutture con oltre 1000 parti l’anno. La soluzione migliore è far confluire le nascite verso un unico centro specializzato di grandi dimensioni. Occorre garantire un anestesista dedicato 24 ore su 24 e il rispetto di tutte le procedure di sicurezza”.
Non esistono dati attendibili su scala nazionale che fotografino la situazione. Un’analisi è stata fatta, nel 2011, da un gruppo di studio in Anestesia e Analgesia in Ostetricia promosso dalla Società Italiana di Anestesiologia (SIAARTI). Su 580 punti nascita, 239 praticavano l’epidurale in travaglio. In Lombardia l parti fisiologici condotti con l’epidurale sono passati da 8,2% del 2005 a 22,7% del 2013, un dato in significativa crescita (fonte: elaborazione dati Regione Lombardia).
Secondo dati del Comitato Nazionale Bioetica, negli Stati Uniti 60% delle partorienti ricorre all’epidurale. Nel Regno Unito, nelle grandi città si registra la stessa percentuale. L’88% delle donne scandinave programma l’uso di metodiche analgesiche durante il parto e l’epidurale è la tecnica più diffusa, soprattutto in Svezia e Finlandia (40-50%). Anche in Francia e Spagna la diffusione dell’epidurale è molto aumentata negli ultimi decenni.

di Alessandra Margreth