Un protocollo messo a punto dall’Ospedale di Niguarda con “Diabete Sommerso” Onlus abbatte un vecchio tabù: i pazienti diabetici possono immergersi in sicurezza. Ma non solo, frequentare un corso sub/medico adeguato migliora l’autogestione consapevole della malattia con profitto anche nella vita quotidiana. L’esperienza del campus organizzato a Favignana
FAVIGNANA – Cade un tabù e si realizza un sogno: oggi anche le persone con malattia diabetica di tipo 1 possono praticare le attività subacquee in sicurezza grazie a un protocollo messo a punto da Diabete Sommerso Onlus e dall’equipe della Diabetologia dell’Ospedale Niguarda di Milano, diretta dal professor Matteo Bonomo.
Il sogno è diventato realtà a Favignana, dove è stato organizzato un campus di una settimana che prevedeva un corso di “medicina e immersione subacquea” che ha permesso di brevettare un gruppo di giovani diabetici di tipo 1. Carichi di soddisfazione gli applausi dei medici diabetologi e degli istruttori sub Padi che hanno festeggiato a fine corso il brevetto di tutti i partecipanti. Un’esperienza unica, con importanti finalità educative sia in termini di autogestione consapevole della malattia, sia in ambito sportivo.
Lo sport fa bene a corpo e mente
“Fare sport fa bene al corpo e alla mente – afferma Valentina Visconti, presidente di Diabete Sommerso Onlus -. Ancora di più per chi è diabetico. Nel nostro caso, l’impegno sportivo contribuisce ad accrescere il controllo consapevole della malattia, con ricadute utili anche per la vita quotidiana. E poi, ottenere un brevetto da sub aumenta l’autostima. Il successo del corso di Favignana corona tanti nostri sforzi supportati dal volontariato di medici, istruttori subacquei, pazienti, familiari e aziende impegnate nel sociale”.
“Se il protocollo tecnico-scientifico viene seguito in modo scrupoloso, i rischi per un diabetico sono sovrapponibili a quelli cui va incontro qualunque altra persona – dice Fabrizio Querci, responsabile Diabetologia presso l’Ospedale Pesenti Fenaroli di Alzano Lombardo (Bergamo) -. “L’unico aspetto da monitorare è il possibile verificarsi di un episodio di ipoglicemia anche minore durante l’immersione, che potrebbe comportare problemi di vigilanza, interferendo con i riflessi e con il coordinamento dei movimenti. Per questo, il protocollo prevede dei controlli glicemici secondo una tempistica imprescindibile, che permette di decidere se l’immersione sia o meno praticabile. E durante il campo di Favignana abbiamo effettuato un monitoraggio in continuo della glicemia, per valutare l’influenza dell’attività subacquea sul compenso metabolico”.
“Nella pratica – riassume Peter Haag, direttore generale di Ypsomed e Dive Master -, il soggetto diabetico che si immerge, prima del tuffo, deve avere valori di glicemia superiori a quelli a cui è mediamente abituato, deve aumentare l’introito di liquidi e tenere a disposizione del glucosio prontamente assimilabile come bustine di zucchero, miele o simili”.
Nessun traguardo negato
“L’educazione terapeutica gioca un ruolo fondamentale nella cura del diabete: porta all’autonomia nell’autogestione della malattia – sottolinea Giovanni Careddu, diabetologo e Coordinatore del Gruppo Italiano di Studio per l’Educazione sul Diabete (GISED) -. L’esperienza di questo soggiorno formativo ha dimostrato ai partecipanti che nessun traguardo è negato a priori. Rendersi conto che il buon controllo della glicemia permette di ottenere le prestazioni volute, offre una formidabile motivazione per curarsi nel miglior modo possibile per avere una vita ricca e gratificante. La settimana di immersioni non è stata dunque soltanto un corso di sub, ma un campo di addestramento alla cura del diabete, dove si mettono in pratica tutte le strategie per ottenere un buon compenso metabolico. E senza dubbio, chi ha imparato a gestire la malattia in condizioni ‘estreme’ può testimoniare che ottenere gli stessi risultati nella vita di tutti i giorni diventa quasi banale”.
Iniezioni e microinfusori
Al momento non esiste una cura per guarire dal diabete di tipo 1. La terapia consiste nella somministrazione quotidiana di insulina (poiché il pancreas del diabetico tipo 1 non è più in grado di produrla) mediante più iniezioni sottocutanee o con l’utilizzo di un microinfusore.
Il microinfusore è un apparecchio portatile, delle dimensioni di un piccolo cellulare, con un serbatoio riempito di insulina ad azione rapida. Dal dispositivo esce un tubicino che termina con un ago da inserire sotto la cute dell’addome o, a scelta, in altre parti del corpo. Per riprodurre la secrezione fisiologica de pancreas, il microinfusore eroga insulina secondo due modalità: una continua (infusione basale) e una “a domanda” (boli insulinici). Le modalità di infusione vengono impostate sul dispositivo e possono essere variate a seconda delle esigenze del paziente. Possono essere somministrate dosi estremamente ridotte d’insulina (fino a 1/20 o 1/40 di unità), diminuendo così il rischio di ipoglicemie. E’ inoltre possibile praticare boli insulinici in corrispondenza di ogni pasto, spuntino o in caso di glicemie elevate. Il tutto in maniera riservata, senza dover effettuare iniezioni e con ottimi risultati in termini di controllo metabolico e di qualità della vita.
Il patch-pump
Un dispositivo innovativo, più recente, è il microinfusore a cerotto (patch-pump). Molto più piccolo, compatto e leggero, viene applicato direttamente al braccio. E’ dotato di un ago lungo qualche millimetro collegato direttamente all’apparecchio. L’assenza di catetere ne aumenta la praticità d’uso ed esclude la formazione di eventuali bolle nel tubicino. Ovviamente un patch-pump ha il serbatoio più piccolo, che mantiene comunque un’autonomia di circa tre giorni. La gestione delle dosi viene eseguita tramite uno strumento wi-fi simile a un telefonino. Se immerso in acqua, il microinfusore a cerotto non richiede di essere scollegato.
Il pancreas artificiale
Ma cosa c’è all’orizzonte della ricerca? Fra le terapie sperimentali, si sta studiando la possibilità di realizzare il cosiddetto “pancreas artificiale”, cioè un sistema in grado di regolare automaticamente la somministrazione di insulina in base ai valori glicemici rilevati. Il principio, in linea teorica, è semplice: un microelaboratore elettronico dovrebbe utilizzare i dati rilevati da un sensore che legge “in continuo” la glicemia, per gestire le somministrazioni di un microinfusore. Il tutto dovrebbe avvenire in modo automatico, senza la necessità di interventi da parte del paziente. Un obiettivo ambizioso, ma che certamente migliorerebbe in modo rilevante la qualità di vita di migliaia di persone.
Maurizio Maria Fossati