Un libro di ‘medicina narrativa’, dove si mostra come il dialogo fra medico e paziente generi un’empatia che fa buona la Medicina. Vi si raccontano storie di malati, familiari e curanti. Nella sua prefazione il grande oncologo recentemente scomparso Umberto Veronesi spiega che il dialogo medico-paziente non è una perdita di tempo, al contrario fa bene sia al malato che alle cure.
MILANO – Nel corso di una malattia ci sono parole che possono dare conforto, infondere speranza, coraggio e serenità. Sono le “parole che curano”, quei consigli, quelle condivisioni che nascono dal cuore e risuonano, subito e in sintonia, in un altro cuore, quello del malato.
E “Parole che curano” è il titolo del libro di medicina narrativa scritto dalla pediatra Franca Regina Parizzi e dal giornalista Maurizio Maria Fossati. Un’opera, edita da Publiediting, nobilitata dalla prefazione di Umberto Veronesi. Probabilmente l’ultima fatica letteraria del grande oncologo milanese che ha voluto riassumere, presentando questo volume, il suo pensiero sulla pratica della medicina e in particolare, sulla fondamentale importanza dell’ascolto e dell’empatia nel rapporto medico-paziente.
“…Se il medico vuole conoscere il suo paziente (e quindi curarlo meglio) deve lasciarlo parlare di sé – scrive il professore -. È impegnativo, ma non è una perdita di tempo, come qualcuno potrebbe pensare… Nel lavoro di medico non possiamo portare solo la preparazione scientifica e la competenza professionale… Il dialogo fa bene sia al malato che alle cure, perché solo ascoltando il paziente il medico può capire fino in fondo se la terapia funziona o se ha bisogno di essere ricalibrata sulla situazione di ‘quel’ malato…”.
Le narrazioni e le riflessioni raccolte in questo libro vogliono tracciare un percorso di esplorazione dell’animo umano nel momento in cui la persona “incontra” la malattia. Un sentiero di conoscenza e sensibilizzazione. Le storie sono tutte vere, scritte o raccontate da persone malate, dai loro familiari e da operatori nell’ambito della Sanità. Testimonianze di vita vissuta con la malattia o a contatto di persone malate. Ma sono state riportate anche citazioni letterarie e cinematografiche. Un film, un libro, una storia sono in grado di suscitare emozioni, riflessioni, ricordi. Si riallacciano all’esperienza personale e possono risvegliare le nostre paure. Proprio per questa capacità evocativa ed emozionale le narrazioni possono essere di aiuto soprattutto a chi, costretto a confrontarsi con la malattia altrui, tende a prenderne le distanze.
La malattia descritta nei trattati di Medicina ha ben poco in comune con la malattia vissuta. Ecco perché i professionisti sanitari dovrebbero sforzarsi di recuperare il senso della cura e dell’assistenza alla persona nella sua globalità. La tecnologia e la medicina basata sull’evidenza dovrebbero sempre essere adattate al singolo e integrate con l’approccio “narrativo”. È necessario, cioè, essere in grado di evocare, condurre, ascoltare la storia che il malato ha da raccontare per poter accedere a quell’ambito complesso che è la sua esperienza di malattia e i significati del suo mondo. Solo così si possono far emergere le cause più profonde della sua sofferenza e, nel contempo, le sue risorse per affrontarla, superarla e per costruire una vera relazione di alleanza terapeutica.
La cura è un percorso che la persona malata, i suoi familiari e i curanti devono compiere insieme: il traguardo è la qualità di vita, un obiettivo ben più ampio e complesso del semplice miglioramento o della guarigione clinica. La cura deve essere un processo individualizzato perché ogni storia e ogni persona è unica e irripetibile. E, ancora la cura, dovrebbe permettere di affrontare e gestire al meglio le fasi fondamentali dell’esistenza, facendo sviluppare la forza d’animo necessaria per vivere sempre da protagonisti.
Il ruolo e l’immagine del medico e dell’infermiere sono profondamente mutati nel tempo in relazione al progresso scientifico e tecnologico, alla tendenza della Medicina moderna alla super-specializzazione e ai cambiamenti del sistema e dei servizi sanitari. Tutto questo ha contribuito a deteriorare la relazione tra coloro che erogano le cure e coloro che vi si affidano. Nonostante in tempi recenti si sia sempre più affermato il diritto delle persone alla partecipazione informata e consapevole alle cure, sono tuttavia cresciuti un atteggiamento critico e una certa sfiducia nei confronti del mondo sanitario.
Ebbene, la fiducia può essere ritrovata anche con l’ascolto. Dalla narrazione dei protagonisti possono emergere elementi chiave sia per capirne il vissuto, sia per la diagnosi e la cura. Una maggiore sensibilità e attenzione spesso la ritroviamo in quei professionisti che hanno vissuto personalmente l’esperienza di una malattia grave. Questo li ha portati a capire meglio come il loro compito prioritario sia “curare”, “prendersi cura” e non “guarire”. Questo spesso porta a confrontarsi con i limiti, e a volte con l’impotenza, della Medicina.
Le loro testimonianze di “guaritori feriti” sono molto preziose, perché offrono una duplice prospettiva: dalla parte del curante e da quella del paziente. Solo così si può superare quella linea di demarcazione che separa il benessere dal malessere, la normalità dalla malattia, e si può ristabilire la migliore alleanza terapeutica, ritrovando anche il senso umano del ruolo, talvolta intercambiabile, di chi cura e di chi è curato.
”PAROLE CHE CURANO
L’empatia come buona medicina
Storie di malati, familiari e curanti”
di Franca R. Parizzi e Maurizio M. Fossati
Publiediting – Milano (www.publiediting.it)
Pagine 240 – Prezzo 14 euro