L’appetito vien mangiando e… rimanendo svegli

Svelato il paradosso del cervello negli obesi: risiede nei circuiti deputati a garantire la sopravvivenza degli animali producendo il peptide orexina-A, che promuove la veglia e l’allerta durante la caccia al cibo. La ricerca, tutta italiana, è pubblicata sulla rivista PNAS

ROMA – L‘idea che l’appetito vien mangiando e chi dorme non piglia peso non è solo un luogo comune. Il cervello, infatti, mette in atto un meccanismo che prende spunto da una specifica proprietà: la plasticità sinaptica, ovvero l’abilità dei circuiti neurali di essere rimodellati in funzione degli stimoli che il cervello riceve.
E c’è un composto, un peptide prodotto nell’ipotalamo capace di reprimere il senso della sazietà favorendo, al contrario, quello dell’appetito. Lo evidenzia uno studio – pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) – guidato da Luigia Cristino, ricercatrice dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) di Pozzuoli, in collaborazione con Ceinge, Istituto di biochimica delle proteine del Cnr, Università Federico II di Napoli e Università Carlo Bo di Urbino.

E’ un importante passo avanti nella lotta all’obesità, che mostra cifre sempre più preoccupanti: secondo i dati recenti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), infatti, in Europa oltre la metà degli adulti è in sovrappeso od obesa e più del 25% dei bambini di otto anni è obeso.

“Quando la fame assale, nell’ipotalamo il livello circolante dell’ormone leptina (il freno della fame) cala mentre sale quello dell’endocannabinoide 2-AG (l’acceleratore della fame che di norma è frenato dalla stessa leptina)”, spiega Vincenzo Di Marzo, direttore dell’Istituto di chimica biomolecolare del Cnr di Pozzuoli e co-autore dello studio. “L’ipotalamo – continua – è una piccola regione del cervello che regola molte funzioni neuroendocrine, tra cui appetito e sazietà; riorganizza i propri circuiti per rispondere alla richiesta di cibo e produrre, tra l’altro, maggiori quantità di un composto chiamato orexina-A (dal greco orexis, appetito), che promuove la veglia e, nell’animale, l’allerta garantendone la sopravvivenza durante la caccia del cibo, consentendone la fuga in caso di pericolo (ad esempio al sopraggiungere di un predatore)”.

“Che gli endocannabinoidi stimolino l’appetito è noto, come hanno dimostrato le nostre ricerche”, prosegue Luigia Cristino, secondo cui la novità consiste nell’aver scoperto che l’orexina-A è un potente induttore della sintesi del 2-AG e reprime i neuroni dell’ipotalamo che inducono sazietà (oltre che promuovere la veglia), contribuendo così all’obesità mediante la stimolazione del segnale endocannabinoide.

“Tale meccanismo – osserva la ricercatrice del Cnr –  serve ad assicurare un corretto apporto di energia durante la veglia in individui normopeso, ma esso diventa difettoso in caso di obesità a causa del malfunzionamento della leptina. Ciò innesca un circolo vizioso (aumento di appetito-aumento del peso corporeo) che porta al punto di non ritorno: il cervello non riesce più a spegnere il senso di fame”.

“Questo studio – conclude quindi Di Marzo – individua nei recettori dell’orexina-A ottimi bersagli farmacologici per combattere l’obesità: la storia evolutiva dell’uomo ci ha, paradossalmente, portati dal bisogno di mangiare per sopravvivere a quello di digiunare per vivere in forma”. Ma una volta conosciuti i meccanismi cerebrali del ‘bisogno’ di mangiare, è possibile ora sfruttarli per poter più facilmente limitare il cibo e vivere meglio.