Insonnia Fatale Familiare: in topo transgenico scoperto possibile meccanismo

Riprodotte nel modello animale le caratteristiche principali della rara malattia genetica tutt’ora incurabile – E’ una Ricerca del ‘Mario Negri’, in collaborazione con Università Milano e Besta

MILANO – Non si dorme più fino a morirne. E’ l’insonnia fatale familiare (FFI), rara patologia da prioni di origine genetica, che colpisce il cervello e per cui non esiste cura. Si manifesta intorno ai 50 anni e porta alla morte in un arco di tempo che va da sei mesi a due anni.

Ma ora c’è uno strumento in più per studiarla e comprenderne i meccanismi. Si tratta di un topo transgenico, in cui è stata inserita la variante maligna della proteina prionica (il prione) e che riproduce le caratteristiche principali della malattia umana. Il modello è stato sviluppato dal gruppo di Roberto Chiesa del Dipartimento di Neuroscienze dell’ Istituto ‘Mario Negri’, in collaborazione con Luca Imeri del Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Milano e con Fabrizio Tagliavini dell’ Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’.
“I primi studi sul topo modello – spiega Chiesa – suggeriscono che la causa della disfunzione e della morte dei neuroni sia l’accumulo della proteina prionica nella via secretoria, coiè in quel compartimento all’interno della cellula in cui transitano le proteine destinate alla membrana cellulare o all’esterno della cellula”.
Descritta per la prima volta nel 1986 in una famiglia italiana (poi in altri Paesi fra cui Francia, Germania, Inghilterra, Austria, Giappone, Australia, Pakistan, Cina e Stati Uniti) la malattia si presenta con sintomi quali sudorazione continua, tremori, disturbi comportamentali, decadimento cognitivo e un rapido e inarrestabile dimagrimento, ma soprattutto con l’impossibilità di ‘chiudere occhio’, a causa della morte dei neuroni in quelle parti del cervello che controllano l’alternanza tra sonno e veglia.
Finanziato da Telethon, dal Ministero della Salute e da Fondazione Cariplo (pubblicato sulla rivista PLOS Pathogens) lo studio rappresenta un importante passo avanti, anche se la strada verso la cura di questa rara patologia è ancora lunga. I ricercatori, però, avranno ora la possibilità di studiare la malattia su un animale – e non solo sulle cellule di laboratorio che pur utili non riproducono la complessità del cervello – e potranno anche valutare l’efficacia delle eventuali terapie che verranno messe a punto.