Emofilia – Il farmaco biotech scatena più reazioni immunitarie contro la terapia di quello derivato dal plasma umano

Con la scoperta potrebbe essere dimezzata la resistenza alla terapia e garantire a molti più bambini con emofilia una cura adeguata. Lo Studio internazionale, coordinato dal Policlinico di Milano è stato guidato da Flora Peyvandi, premiata dall’UNAMSI nel 2014 col ‘Grande Ippocrate’ quale migliore ricercatore e divulgatore medico-scientifico

MILANO – Fra i due tipi di farmaco utilizzati per curare il difetto della coagulazione del sangue nelle persone con emofilia, quello più recente, biotecnologico, creato in laboratorio con la tecnologia del DNA ricombinante è più ‘immunogenico’ di quello ricavato dal plasma umano, cioè scatena di più la reazione del sistema immunitario del paziente, almeno nei primi mesi di terapia. E’ una scoperta che potrebbe dimezzare la resistenza alla terapia e garantire a molti più bambini con emofilia una cura adeguata.
Lo dimostra SIPPET, lo studio (appena pubblicato su ‘Blood’) realizzato dai ricercatori del Policlinico di Milano guidati da Flora Peyvandi, ricercatrice che l’UNAMSI ha premiato lo scorso anno con il ‘Grande Ippocrate’ come miglior ricercatore/ divulgatore del 2015 (con il contributo di Novartis).

Malattia genetica rara che comporta fino a 120 iniezioni l’anno
L’emofilia è una malattia genetica rara che colpisce ogni anno in Europa un nuovo nato ogni 5mila. I pazienti devono sottoporsi a iniezioni periodiche, anche fino a 120 l’anno, per reintegrare quei fattori di coagulazione del sangue che non riescono a produrre da soli. Ma le terapie non sono prive di problemi: circa il 30% dei malati con emofilia A (il tipo più frequente, che colpisce l’85% di tutti gli emofilici) sviluppa anticorpi contro questo fattore di coagulazione, rendendo le terapie inefficaci.
Le persone con emofilia A – spiegano i ricercatori – hanno bisogno di iniezioni del Fattore VIII della coagulazione; in commercio ne esistono di due tipi, il plasma-derivato (estratto cioè dal sangue di una persona sana) e il ricombinante (che ricrea il Fattore VIII in laboratorio). Negli ultimi 30 anni le cure si sono orientate molto più sui prodotti ricombinanti, a causa dei gravi problemi che ci sono stati in passato con le trasfusioni e la trasmissione di patologie come l’epatite C e l’AIDS, anche se dagli anni Novanta in poi questo problema è stato superato.

Fattore VIII ricombinante porta immunogenicità con frequenza doppia
Ora, lo studio SIPPET chiarisce in modo evidente che i pazienti curati con il fattore ricombinante hanno una frequenza quasi doppia (+87%) di sviluppare anticorpi contro il Fattore VIII, rendendo quindi inefficace la terapia. “Se iniziassimo le terapie nei bambini con emofilia con il prodotto plasma-derivato invece che con il fattore ricombinante – concludono i ricercatori –  potremmo dimezzare la resistenza alla terapia e garantire a molte più persone con emofilia una cura adeguata".
Lo studio ha come primi autori Flora Peyvandi, responsabile del Centro Emofilia e Trombosi ‘Angelo Bianchi Bonomi’ del Policlinico di Milano, e Pier Mannuccio Mannucci, direttore scientifico della struttura. Insieme a loro hanno partecipato alcuni centri italiani (Università di Milano, Azienda Ospedaliera di Padova, Policlinico Umberto I di Roma) insieme ad esperti di ospedali e università di tutto il mondo (Egitto, India, Iran, USA, Messico, Sud Africa, Spagna, Brasile, Austria, Arabia Saudita, Cile, Turchia, Argentina, Olanda). La ricerca è stata supportata anche dall’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) e dal Ministero della Salute italiano.

Studiati 250 pazienti di 14 Paesi del mondo – Bambini con 14 mesi di vita
I ricercatori hanno studiato oltre 250 pazienti (un numero alto, data la rarità della malattia) di 14 Paesi del mondo, che non erano mai stati trattati prima con un fattore di coagulazione, e li hanno seguiti per tre anni. "Si tratta del primo lavoro scientifico randomizzato, che confronta cioè nel modo più obiettivo possibile la terapia con prodotti ricombinanti o plasma-derivati – commentano gli autori – Parliamo di bimbi con meno di 6 anni, ma che in media hanno 14 mesi di vita: i risultati dello studio hanno grandi implicazioni nella scelta di quale tipo di prodotto vada somministrato ai pazienti, dato che lo sviluppo degli anticorpi è uno dei più grossi problemi nella gestione dell’emofilia A".
Di solito, aggiungono gli esperti, "questa ‘resistenza’ alla terapia si sviluppa entro le prime 20 iniezioni con il fattore VIII: questo significa che se iniziassimo le terapie nei bambini con emofilia con il prodotto plasma-derivato invece che con il fattore ricombinante, potremmo dimezzare la resistenza alla terapia e garantire a molte più persone con emofilia una cura adeguata".
Peraltro i prodotti plasma-derivati sono meno costosi di quelli ricombinanti: questo porterebbe non solo un consistente risparmio per i sistemi sanitari, ma permetterebbe anche un migliore accesso alle cure nei Paesi più svantaggiati dal punto di vista economico.
Va però sottolineato che il fattore ricombinante si può produrre sempre, mentre quello plasma-derivato ha bisogno di donazioni di sangue, e quindi si può ricavare in quantità inferiori. "Per questo – concludono gli esperti del Policlinico – avremo sempre bisogno di entrambi i tipi di fattore VIII".