Identificato un network di aree cerebrali da studiare con tre tecniche di imaging. Lo studio, realizzato dai ricercatori dell’Istituto Neurologico ‘Besta’ di Milano, pubblicato su Annals of Neurology.
MILANO – Da anni la Medicina è alla ricerca di un metodo obiettivo che permetta di migliorare la capacità diagnostica nei pazienti in coma o in stato vegetativo. La domanda è sempre la stessa: c’è una residua attività cerebrale? Nella strada verso la risposta a questo basilare quesito un passo avanti arriva da uno studio dei ricercatori dell’Istituto Neurologico ‘Carlo Besta’ di Milano che hanno ottenuto informazioni più precise utilizzando 3 tecniche di imaging su 6 aree cerebrali di 119 pazienti, in una ricerca durata due anni e mezzo.
Finanziato dalla Regione Lombardia, lo studio è stato pubblicato su Annals of Neurology. E’ stato condotto presso il Coma Research Centre (CRC) del Besta, coordinato dalla neurologa Matilde Leonardi, in collaborazione con le Unità Operative di Neurofisiologia, Malattie Cerebrovascolari, Neuroradiologia e con il Policlinico di Milano.
I ricercatori hanno studiato i 119 pazienti mediamente in malattia da due anni per traumi cranici, anossia, ischemie o emorragie cerebrovascolari: 72 in stato vegetativo, 36 in stato di minima coscienza (Mcs) e 11 con grave disabilità. E hanno utilizzato tre tecniche di imaging: Risonanza magnetica strutturale, Risonanza magnetica funzionale e Pet, applicate a sei precise aree cerebrali, tre per emisfero.
Pochi centri al mondo, tra cui proprio il Besta in Italia, hanno a disposizione una casistica di pazienti con disturbi di coscienza cronici così ampia e così ben studiata con tecniche avanzate, e questo ha permesso di studiare innumerevoli aspetti e di ottenere risultati rilevanti.
Un network di aree cerebrali
“Si sa che la coscienza – spiega Cristina Rosazza, ricercatrice del reparto di Neuroradiologia, prima firma dello studio – non è associata a una specifica regione del cervello ma ci sono aree più importanti di altre. E all’insieme, un network, di queste aree ci siamo interessati: confrontando le immagini di Rm strutturale e funzionale abbiamo potuto valutare se c’era comunicazione fra aree del cervello fronto-parietale, con la Pet abbiamo verificato il metabolismo. Abbiamo constatato una sia pur minima comunicazione in un piccolo sottogruppo di pazienti, per i quali è stato possibile stabilire un piano terapeutico. E due di questi pazienti sono migliorati, anche se di poco, evolvendo verso uno stato di minima coscienza. In particolare, l’integrità dell’emisfero sinistro appare essere predittivo di una migliore condizione clinica”.
Il risultato più importante è stato “l’aver identificato il network cerebrale da studiare con le 3 tecniche di imaging. E’ solo una luce in un mondo ancora buio – conclude Rosazza – ma abbiamo visto che questa tecnica può essere utile a rilevare una funzionalità residua”.
Da un punto di vista scientifico lo studio dimostra che è importante, e la si può misurare con precisione, l’attività cerebrale residua nei pazienti che emergono dal coma e questo è essenziale per la diagnosi, la prognosi e lo sviluppo di approcci riabilitativi e terapeutici molto più personalizzati per il singolo paziente. Questo aspetto è rilevante per le implicazioni che ne derivano: cliniche, etiche, terapeutiche, ma anche socio-economiche per il sostegno alle famiglie, che cambia in base alla diagnosi.