Statine, quando gli errori statistici erroneamente presentati generano panico tra i pazienti

Condannate e poi assolte perché il fatto non sussiste. La “sentenza” emessa sulle pagine del  Britisih Medical Journal da un lavoro di John Abramson e colleghi del Department of Health Care Policy, Harvard Medical School contro le statine, accusate di indurre un carico di effetti collaterali molto più significativo di quanto normalmente riportato,  si è risolto in un niente di fatto. La “giustizia” in questo caso ha avuto la meglio grazie all’intervento di un “detective” di eccezione, sir Rory Collins, professore di medicina ed epidemiologia all’università di Oxford. Questi i fatti. Qualche mese fa Abramson e colleghi dopo una rianalisi dei dati del Cholesterol treatment trialists’ collaboration (Ctt), studio sull’uso delle statine in prevenzione primaria nei pazienti a basso rischio cardiovascolare, avevano puntato l’indice contro questa classe di farmaci, accusandoli di indurre nel 18-20% dei pazienti effetti collaterali tanto seri da provocare l’abbandono della terapia. Morale della favola: il rapporto rischio/beneficio delle statine nei pazienti con un profilo di rischio cardiovascolare a 10 anni inferiore al 10% secondo gli autori americani non ne giustifica l’uso. A una conclusione analoga è giunto immediatamente dopo un altro articolo pubblicato sempre sul Bmj a firma di Aseem Malhotra  Interventional Cardiology Specialist Registrar, Croydon University Hospital, Londra, che, nel mettere in discussione il ruolo degli acidi grassi saturi come uno dei principali elementi di rischio cardiovascolare, accusava le statine di provocare un carico importante ed eccessivo di effetti collaterali.  

Oltre la semplice querelle
La pubblicazione degli articoli ha scatenato un reazione a catena nella comunità scientifica di riferimento. Tanto che uno dei massimi esperti in statistica medica ed epidemiologia, il professor Rory Collins appunto, ha voluto rianalizzare i dati, scoprendo gravi errori nell’analisi statistica di entrambi i lavori.. Non si tratta di una semplice querelle tra scienziati chiusi in torri d’avorio e circondati da beute e pipette. Perché uno dei più letti quotidiani britannici, The Guardian, aveva presentato in un articolo le conclusioni di Abramson e colleghi scatenando di fatto una reazione allarmata tra i lettori, dato che le statine restano tra i farmaci più prescritti al mondo. “Gli articoli pubblicati dal Bmj sono sbagliati e vanno ritirati”, ha sostenuto Collins, evidenziando i pericoli per la collettività di una diffusione di messaggi scientifici scorretti. Della questione è stato incaricato un panel di esperti del Royal College of GPs britannico che dopo due mesi ha dato il classico colpo al cerchio e l’altro alla botte: ha imposto al Bmj di riportare l’errore nelle pubblicazioni ma non ha decretato l’espulsione dei lavori dall’archivio.  

Il ruolo dei giornalisti scientifici Una vicenda che sottolinea ancora una volta quanto sia delicato diffondere temi di salute e quanta accortezza e competenza siano richieste oggi al giornalista scientifico. “Una vicenda molto spiacevole”, commenta il professor Andrea Poli, Presidente di Nutrition Foundation of Italy,  “anche se sugli effetti collaterali delle statine è possibile che ci sia stata una sottostima dell’incidenza reale. Però tenendo conto degli effetti favorevoli, il bilancio complessivo è assolutamente a favore dell’utilizzazione del farmaco. L’attenzione agli effetti collaterali e alla qualità della vita va mantenuta ovviamente elevata, ma se ci sono effetti significativi, questi sono quasi sempre dose-dipendenti e possono essere ridotti con strategie apposite”. Il messaggio dell’esperto è chiaro: attenzione ai proclami fuorvianti quando si parla di prevenzione del rischio cardiovascolare. Ben vangano allora i corsi di aggiornamento, come quello che la nostra Associazione promuove insieme all’Istituto farmacologico Mario Negri sull’interpretazione dei dati statistici negli studi scientifici.   Leggi: http://www.bmj.com/content/348/bmj.g3306