Intervento di Giuliano Grignaschi, Segretario Generale Research4life – cui UNAMSI ha concesso il Patrocinio -, a supporto della Senatrice Elena Cattaneo nella straordinaria attività di divulgazione del metodo scientifico che sta svolgendo nel Paese
MILANO – Dispiace dover constatare che, ancora una volta, l’opinione (che riassume peraltro il pensiero della quasi totalità dei ricercatori biomedici) di una ricercatrice di fama mondiale quale è la Senatrice Elena Cattaneo viene contestata con argomentazioni e termini non corretti da chi ritiene di rappresentare il mondo animalista. Mi riferisco in particolare al Prof Bruno Fedi – componente del tavolo ministeriale dedicato ai metodi alternativi – che insiste nel voler utilizzare in maniera strumentale il termine “vivisezione”, fingendo di dimenticare che la normativa vigente ha completamente eliminato qualsiasi possibilità di riferirsi ad essa; con il Decreto Legislativo 26/2014 infatti è stata abrogata la Legge del 1931 che regolamentava la “materia della vivisezione” e, ad oggi, ha senso parlare solo di protezione degli animali utilizzati in esperimenti scientifici poiché la “vivisezione” è vietata.
Al di là dello scorretto uso dei termini, vale la pena sottolineare il fatto che la Senatrice Cattaneo non ha mai sostenuto che il modello animale sia l’unico a cui fare riferimento ma solo che, ad oggi, è ancora imprescindibile in moltissimi casi. Affermazione analoga, peraltro, è stata effettuata dal Prof Thomas Hartung, direttore del CAAT (Center for Alternative to Animal Testing, USA), durante il convegno del 26 gennaio 2016 “Metodi alternativi alla sperimentazione animale”, presso l’università Sapienza di Roma. Ogni istituto di ricerca nel mondo utilizza il modello animale in percentuale molto ridotta rispetto all’insieme di tutte le altre tecniche che sono da considerarsi complementari: simulazioni al computer, colture cellulari più o meno complesse, studi epidemiologici e altre ancora. Si tratta di metodologie che quotidianamente vengono applicate insieme ai modelli animali e da ognuna si ottengono informazioni diverse e complementari: abbandonare uno di questi passaggi significherebbe interrompere l’intero processo di sviluppo. Il Professor Fedi afferma che “gli USA, la GB, la Germania investono somme enormi in metodi alternativi, perché sanno che da quelli verrà il progresso” ma si dimentica di dire che nelle stesse nazioni la sperimentazione animale coinvolge molti più animali che in Italia: in Inghilterra e in Germania più del doppio (oltre due milioni) mentre negli USA si stima una cifra 50 volte superiore. Cosa significa questo: che noi siamo più avanzati? No, semplicemente che in quei paesi è maggiore l’investimento economico in ricerca quindi ogni settore ha più fondi e numeri maggiori.
Da ultimo risulta assolutamente miope la visione secondo cui “La svolta nella medicina moderna non l’hanno determinata gli animali, ma i cadaveri umani” ma capisco che possa rappresentare l’opinione di un anatomo-patologo. Sarebbe troppo facile per me ricordare gli evidenti successi del modello animale nella farmacologia, nella messa a punto di tecniche chirurgiche o nello sviluppo di dispositivi biomedici degli ultimi 100 anni quindi mi limiterò a ricordare fatti molto recenti: il grande successo dei vaccini contro ebola (uno dei quali messo a punto nel 2014 da una biotech italiana http://www.research4life.it/la-parolaa/ebola-un-vaccino-tutto-italiano/) sviluppati grazie a studi nei topi e nei primati non umani, o di quelli contro l’epatite C (http://www.corriere.it/salute/14_febbraio_24/adesso-si-puo-dare-scacco-all-epatite-c901ca4d6-9d69-11e3-bc9d-c89ba57f02d5.shtml) sviluppati sempre grazie a studi negli animali.
Nessuno ama utilizzare il modello animale ma purtroppo, ad oggi, non è ancora sostituibile in decine di migliaia di ricerche; laddove scientificamente giustificato gli sforzi sono diretti in quella direzione come testimonia la continua diminuzione degli animali coinvolti ma è scorretto far credere ai cittadini che si possa abbandonare questo modello senza subirne gravi conseguenze. Tutti i pazienti hanno il diritto di potersi avvalere di terapie messe a punto e testate secondo quelle che sono le migliori procedure esistenti che, ad oggi, comprendono il modello animale. Non garantire ciò sarebbe immorale.
Research4Life è la prima iniziativa di Science Advocacy in Italia, che raggruppa, ospedali, enti di ricerca, associazioni di pazienti, organizzazioni non profit, università, ordini dei medici ed industrie che hanno deciso di parlare con un’unica voce per condividere le opportunità rappresentate dalla ricerca biomedica e gli ostacoli che questa incontra ogni giorno. Mission di Research4Life è migliorare la qualità di vita, attraverso la diffusione della cultura della ricerca scientifica.
Giuliano Grignaschi