Milano – In Cardiologia la ricerca riparte dai Micro-RNA, molecole scoperte solo di recente ma che in poco tempo hanno attirato l’attenzione di un gran numero di studiosi di tutto il mondo perché si è visto che possono fornire una risposta a tantissimi quesiti su molte malattie, comprese quelle cardiovascolari.
Rispondono, ad esempio, al perché si verifica una restenosi ai margini di uno stent subito dopo la sua applicazione, oppure al perché capita che una terapia antiaggregante abbia poca efficacia. Insomma, sembra ci sia una nuova base da cui ripartire per studiare nuovi farmaci, ma non solo: anche per trovare nuovi marker capaci di favorire una diagnosi precoce di alcune importanti malattie del cuore.
Una vera “rivoluzione” quindi nella ricerca, tanto che oltre 1/3 degli studi sperimentali presentati all’ultimo congresso dell’American Heart Association ha avuto come oggetto i Micro-RNA (MIR).
In particolare, i MIR sono molecole che regolano l’espressione genica e la sintesi proteica, importantissime perché possono influire nella genesi di molte patologie del cuore. La loro scoperta è recente: le prime osservazioni risalgono al 1993.
“La ricerca in cardiologia ha fatto passi da gigante, si è partiti dallo studio degli enzimi rilasciati dal muscolo cardiaco ed attualmente utilizzati nella diagnosi di infarto miocardico acuto, poi di alcuni marker infiammatori, della proteina C-reattiva, per comprendere a pieno la fisiopatologia della cardiopatia ischemica, per citare solo alcuni dei grandi progressi», spiega Annunziata Nusca, cardiologa interventista, UOC di Cardiologia, Policlinico universitario Campus Bio-Medico di Roma. «Ma di questa enorme piramide di conoscenze, ci mancava la base, il punto di partenza di tutto. Ora potremmo esserci grazie ai Micro-RNA. Però i meccanismi sono molto più complessi di quanto si supponesse».
Al momento se ne conoscono circa un migliaio, ma rappresentano una goccia nel mare perché sono tantissimi. Si sa anche che nasciamo col nostro bagaglio di Micro-RNA e che ogni molecola può intervenire in diversi meccanismi patologici, con un ruolo positivo di protezione, oppure negativo. Un esempio? Il MIR-21. I dati dicono che ha un effetto protettivo sul cuore durante l’ischemia acuta riducendo il tasso di apoptosi, cioè la morte del tessuto cardiaco. Ma sembrerebbe anche essere il responsabile della ipercicatrizzazione che si può formare a livello dello stent subito dopo l’intervento di angioplastica coronarica.
«Hanno talmente tante attività che negli anni sarà necessaria una scrematura per concentrare la ricerca su quelli più promettenti», continua la ricercatrice. «Alcuni infatti potrebbero rappresentare potenziali target per farmaci che ne modulino l’espressione. Altri, marcatori da utilizzare nella diagnosi tempestiva».
Oggi si sa ad esempio che il livello di alcuni MIR sale nel sangue in presenza di una cardiopatia ischemica e molto più precocemente rispetto alla troponina, la proteina che aumenta vertiginosamente in caso di infarto e che viene dosata per la conferma diagnostica. Altre ricerche sono invece focalizzate in particolare sul MIR- 495. Questa molecola sembra che sia iper-espressa quando c’è una scarsa risposta alla terapia antiaggregante.
L’obiettivo ora è comprendere se e come eventualmente si modifica la concentrazione di questo MIR a seconda del dosaggio e del tipo di farmaco antiaggregante, e se sarà possibile la messa a punto di un farmaco-target, che “spenga” la resistenza.