OMS: un “dovere etico” pubblicare tutti i dati degli studi clinici

Risultati non pubblicati nel 23% dei casi – Mancata divulgazione che può stravolgere le priorità per la Ricerca e la Salute pubblica – UNAMSI aveva unito il proprio logo a quello delle 523 organizzazioni firmatarie in autunno della petizione internazionale ‘All Trials’ per una Ricerca Clinica trasparente

MILANO – La petizione ‘All Trials’, a cui ha aderito anche l’UNAMSI, ha fatto breccia: per la prima volta l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha preso posizione in merito alla necessità di rendere disponibili tutti i risultati degli studi clinici, anche quelli giudicati sfavorevoli dai promotori delle ricerche. Ed è una presa di posizione molto forte: l’OMS parla infatti di “dovere etico” che hanno i ricercatori di rendere pubblici i risultati dei loro studi clinici.
Nella sua dichiarazione, infatti l’OMS ha affermato che i principali risultati degli studi clinici devono essere inviati ad un registro studio clinico primario entro 12 mesi dalla fine dello studio e pubblicati in una rivista ‘peer reviewed’ entro 24 months. I Registri primari sono quelli approvati dall’ OMS e comprendono l’ European Union Clinical Trials Register (EU-CTR) e, negli Stati Uniti, Clinical Trials.gov. Una richiesta ben motivata, visto che uno studio fatto sui test registrati sul sito ‘clinicaltrials.gov’ ha verificato che i risultati non sono resi pubblici, come invece dovrebbe succedere entro due anni dalla fine dello studio, nel 23% dei casi, per un totale di quasi 300mila pazienti coinvolti. L’Oms chiede quindi la pubblicazione dei risultati di tutti i test, anche quelli conclusi da tempo, i cui risultati possono ancora avere una notevole incidenza sulla pratica medica e la ricerca scientifica di oggi.
"Non è etico condurre una ricerca clinica senza segnalare i risultati", dice Vasee Moorthy, autore di un articolo di commento pubblicato sulla rivista PLoS Medicine. L’Europa e gli Stati Uniti hanno già fatto importanti passi avanti di regolamentazione per registrare le prove e renderne pubblici i risultati”, aggiunge Moorthy che spera che la nuova dichiarazione dell’OMS “stimoli altri Paesi a fare lo stesso”.
Si tratta in ultima analisi del riconoscimento che ‘All Trials’, la petizione mondiale che l’autunno scorso ha chiesto che tutti gli studi clinici siano registrati e tutti i loro risultati riferiti e disponibili all’esame di ogni ricercatore, andava verso un giusto traguardo. A firmare questa petizione che chiedeva la trasparenza dei risultati della ricerca clinica erano state 523 organizzazioni di tutto il mondo, insieme a 81 mila singoli cittadini.
E il direttivo dell’UNAMSI aveva deliberato la presenza del logo della nostra Associazione al fianco di tutte le altre (insieme a Bad Science, BMJ, Centre for Evidence based Medicine e, in Italia, l’Istituto Mario Negri e altri) nella convinzione che la registrazione e pubblicazione dei risultati della ricerca biomedica siano un diritto fondamentale dei cittadini oltre che un requisito essenziale per migliorare l’assistenza sanitaria.
Perché “la mancata divulgazione dei risultati dei trials – secondo Marie-Paule Kieny, vice direttore generale presso l’agenzia sanitaria delle Nazioni Unite – ha portato alla disinformazione e potrebbe tradursi in uno stravolgimento delle priorità per gli interventi di ricerca e salute pubblica, “creando costi indiretti per gli enti pubblici e privati, compresi i pazienti stessi, che pagano per trattamenti sub-ottimali o addirittura nocivi". Infatti, ”esiste ormai un’ampia documentazione scientifica – come afferma la Cochrane Collaboration, che figura fra i promotori della petizione di ‘All Trials’ – riguardo alla presenza di distorsioni dei risultati della letteratura biomedica dovute all’inadeguatezza del reporting della ricerca”.
Oggi Ben Goldacre, il medico e divulgatore scientifico britannico co-fondatore dell’iniziativa ‘All Trials’, accoglie con entusiasmo la “molto positiva” dichiarazione dell’OMS, oltre che "potente e benvenuta", anche se non si nasconde che molto resta da fare, come la necessità di una “applicazione pratica, per esempio attraverso verifiche di routine, per identificare gli studi clinici completati ma i cui risultati non sono stati resi noti”.