Non è vero, ma ci credo: il difficile rapporto fra evidenza scientifica e libertà di cura

L’ultima moda fra le celebrities americane, Nicole Kidman e le sorelle Kardashian: mangiare la placenta dopo aver partorito

MILANO – “Uno studio scientifico ha dimostrato che i vaccini provocano l’autismo”. Peccato che l’autore dello studio è stato espulso dall’ordine dei medici e le successive ricerche hanno dimostrato in modo schiacciante che non ci sono rapporti fra vaccini e autismo… “Sarà anche vero: comunque è mio personale diritto decidere su ciò che riguarda mio figlio e non voglio rischiare conseguenze”. Questo in poche battute potrebbe essere il paradigma su cui si basa un atteggiamento pericolosamente contagioso che mostra quanto la forza delle proprie convinzioni non verificabili riesca ad influenzare la polarizzazione della società su posizioni estreme.

Perché la gente rifiuta i fatti?

Uno studio di recente pubblicazione sul Journal of Personality and social Psycology, realizzato da un team di ricercatori della Duke University di Durham (UK) e della York University di Toronto, si è posto il quesito che tante persone potrebbero domandarsi anche al bar o su una metropolitana: “Perché la gente rifiuta i fatti?”
I ricercatori hanno indagato attraverso alcuni esperimenti sociali, il motivo che porta la gente ad allontanarsi dai fatti che contraddicono le loro convinzioni. A volte, naturalmente, qualcuno si limita a mettere in discussione la validità di certi fatti specifici, ma molto spesso la gente va oltre e riformula la questione in modo non più verificabile, così i fatti potenzialmente importanti e il metodo scientifico nel suo complesso, diventano in ultima analisi irrilevanti rispetto al problema in discussione. Un esempio per tutti è anche qui in Italia, ove il “metodo Stamina”, per il cui affossamento ci sono volute ben due commissioni di esperti e tre gradi di giudizio giuridico civile, ha ancora fautori che rifiutano di ascoltare il linguaggio della scienza a favore di quello fideistico che propone un modello di ‘cura’, ancorché riconosciuto “truffaldino” e “dannoso”, ma che appare come portatore del valore della speranza.

Il Pregiudizio è una malattia

Gli autori concludono che “il pregiudizio è una malattia e per affrontarlo abbiamo bisogno di trattare i fatti in modo sano e di un buon livello d’istruzione. Abbiamo visto che quando nella discussione si inseriscono i fatti, i sintomi del pregiudizio diventano meno gravi, ma di contro il ‘fact checking’ ha dei limiti che sono marcati dall’incapacità delle persone ad accettare conclusioni “sgradite” rispetto all’opinione “a lieto fine” che si erano formulata nel proprio vissuto”. Per vaccinare la società contro il pregiudizio, suggeriscono gli autori, la cosa migliore è incoraggiare la gente ad accettare l’ambiguità, impegnarsi nel pensiero critico e rifiutare la rigidità delle ideologie, ma concludono con una nota di scetticismo riguardo alla possibilità di sradicare il pregiudizio dal nostro modo di pensare.

Un Osservatorio sulle ‘bufale’
In Italia da 10 anni è attivo un “Osservatorio Scienza Tecnologia e Società” : un annuario pubblicato da “Il Mulino” e curato da Observa Science in Society, ove si esplorano le conoscenze, i luoghi comuni e le cosiddette “bufale” relative al mondo della scienza, misurando la credibilità delle fonti, sia istituzionali, sia mediatiche, sia mutuate dalle cosiddette “celeb” che nulla hanno a che vedere con il contenuto scientifico, ma si pongono come influencer riguardo al tema trattato.
“Nel complesso – afferma Massimiano Bucchi, ideatore dell’Osservatorio e docente di Sociologia della Scienza e Comunicazione presso l’Università di Trento – dieci anni di rilevazioni dell’Osservatorio, ci dicono che il vero problema non è l’assenza di cultura scientifica, il nodo critico resta la fragilità di una cultura della scienza e della tecnologia nella società: una cultura che sappia discutere e valutare i diversi sviluppi e le diverse implicazioni della scienza e della tecnologia evitando le opposte scorciatoie della chiusura pregiudiziale e dell’aspettativa miracolistica”.

L’ultima moda delle neomamme VIP: magiare la placenta
Un altro contagio, da cui l’Italia non è immune e che rende ancor più complicato il rapporto fra la scientificità dei fatti e l’approccio emotivo agli stessi e la comparsa di una nuova figura di mediatore o “Testimonial” culturale: la ‘celeb’ che, magari inconsapevolmente, o per strategia mediatica del proprio agente, inserisce il proprio rapporto con la salute, tra i trend da lanciare. Se l’annuncio di Angelina Jolie (che ha scelto la via della mastectomia preventiva per la positività al gene BRCA1) ha fatto discutere e ha suscitato un dibattito non solo speculativo sulla commercializzazione dei test genetici, lascia più interdetti l’ultima moda o dovremmo dire “riscoperta” che trova in Nicole Kidman e le sorelle Kardashian, ma anche in “neo-mamme VIP” italiane, alcune delle “ambasciatrici culturali”: mangiare la placenta, cosa che può essere agevolata, per chi non avesse uno stomaco forte, con l’ingestione in modalità di frullato o capsula, lavorazioni che un’azienda inglese si è adoperata subito di immettere sul mercato. Poco importa che un caso sia già finito in tribunale in una contea inglese, per il rischio delle contaminazioni batteriche, c’è chi sostiene che la pratica, diffusa fra tutti i mammiferi (non umani), sia un’abitudine da riscoprire in quanto utile per prevenire la depressione post-partum aumentare la lattazione e sconfiggere le smagliature.
Una psichiatra della Northwestern University (IL), Crystal Clark ha pubblicato uno studio dove indaga questo fenomeno della “placentofagia”, partendo dall’analisi della letteratura scientifica sui risultati delle indagini condotte su uomini e animali, trovando dati insufficienti per dimostrarne i benefici promessi dalle testimonianze delle illustri “promoter”. Anzi, come sottolinea la psichiatra, “non esistono evidenze certe che mangiare la placenta sia innocuo e non comporti rischi: in fondo si tratta di un ‘organo filtro’ che serve anche per proteggere il feto da tossine e inquinanti. Perciò questa pratica potrebbe essere dannosa per la mamma e pure per il bambino, se viene allattato al seno”. Ma “è sorprendente – riflette – come donne altrimenti attente a mangiare cibi sani durante gravidanza e allattamento finiscono per ingerire qualcosa che non offre vantaggi provati, ma anzi potrebbe provocare danni”. La vera sfida è questa: trovare un vaccino che ci difenda dalle scelte illogiche e dannose, senza però toglierci la voglia di rischiare e di coltivare il seme della conoscenza.

Gloria Pravatà