Lotta al dolore dei medici italiani: consegnato un decalogo a Papa Francesco

Lesinare sui farmaci antidolorifici nelle malattie croniche e dopo un intervento chirurgico è sempre sbagliato. Se non contrastato, anche il dolore acuto può trasformarsi in cronico

ROMA – Un decalogo che impegna tutti i medici a curare il dolore dei pazienti e a farsi carico della sofferenza, fisica e morale, che è causata dal dolore stesso, è stato consegnato dai medici italiani a Papa Francesco, per far sì che il tema dell’uguaglianza nell’accesso alla cura del dolore divenga in tutto il mondo una priorità non solo sanitaria, ma anche umanitaria ed etica.

“Con la consegna del nostro ‘Manifesto’ al Sommo Pontefice e contemporaneamente alle Nazioni Unite – dice il professor Fanelli, direttore della Uoc di Anestesia e Rianimazione e del Centro Hub di terapia del Dolore dell’Azienza Ospedaliera di Parma – , abbiamo voluto coinvolgere nella nostra battaglia le più alte cariche a livello mondiale, impegnate su diversi fronti per le cause umanitarie di maggior rilievo e per la salvaguardia dei fondamentali diritti dell’uomo. E ‘non soffrire inutilmente’ fa parte senza dubbio dei diritti basilari e inalienabili”.

Dopo il bisturi
Ogni anno in Italia circa 4 milioni di pazienti passano sotto i ferri del chirurgo. Purtroppo più dell’’80% di loro riferisce di aver sofferto di dolore post-operatorio. Ma perché succede? E’ così inevitabile dover soffrire dopo un intervento chirurgico? La sofferenza post-operatoria deriva da scarsa attenzione nei riguardi del malato o da carenza di cultura in ambito di terapia del dolore? E c’entra forse il taglio dei costi?
Una cosa è certa. La situazione dovrebbe essere diversa e il malato dovrebbe soffrire di meno. Lesinare sui farmaci antidolorifici dopo un intervento chirurgico porta spesso all’aumento dei tempi di degenza (quindi a costi maggiori) e può addirittura causare l’evoluzione del dolore da acuto in cronico.
Nel sistema nervoso centrale, infatti, un dolore acuto persistente può indurre alterazioni funzionali, neurochimiche e anche strutturali, portando all’instaurarsi di dolore cronico (un meccanismo dovuto alla neuroplasticità). E quando un dolore post-operatorio diventa cronico, l’esperienza per il paziente è quantomai negativa e il Sistema sanitario nazionale dovrà continuare nel tempo a erogare farmaci a questo nuovo malato cronico. Quindi, guai far cronicizzare un dolore!

C’è ancora molto da fare
Purtroppo, “la gestione del dolore post operatorio nel nostro Paese risulta molto al di sotto degli standard europei”. Lo rileva un articolo scientifico realizzato da un’’equipe guidata da Flaminia Coluzzi, docente di Anestesia e Rianimazione dell’’Università ‘La Sapienza’ di Roma, e recentemente pubblicato sulla European Review for Medical and Pharmacological Sciences. La ricerca riporta un raffronto della Siaarti (Società Italiana di Anestesia, Analgesia, Rianimazione e Terapia Intensiva) fra i dati raccolti attraverso due studi (nel 2006 e nel 2012) in oltre il 40% degli ospedali pubblici italiani. Dal punto di vista dei servizi, solo il 10% dei pazienti sottoposti a intervento chirurgico riceve un trattamento del dolore post-operatorio rispondente alle linee guida.
“La sfida che dobbiamo affrontare è quindi anzitutto di natura culturale – afferma il professor Fanelli -: tutti i professionisti della salute, dal chirurgo all’anestesista, senza tralasciare l’infermiere, devono convincersi che l’analgesia personalizzata, che contempli anche il coinvolgimento del paziente, non rappresenta un maggior dispendio di risorse e di energie, ma al contrario un incremento di efficienza economica e un’ottimizzazione, in termini di appropriatezza terapeutica, nella gestione del paziente”.

Nella foto, il professor Antonio Corcione consegna a Papa Francesco l’Impegno contro il dolore dei medici italiani.