Spesa farmaceutica italiana in aumento AIFA: più generici e meno verifiche

costo farmaci LA SPESA FARMACEUTICA totale, pubblica e privata, è stata pari a 26,1 miliardi di euro, con un aumento del 2,3% rispetto al 2012. E’ il dato saliente dell’ultimo rapporto dell’Osservatorio sul consumo dei medicinali in Italia elaborato dall’Agenzia italiana del farmaco (Aifa).
Nel 2013 ogni italiano ha consumato in media 1,7 dosi di farmaci al giorno (1.679 dosi al giorno ogni 1.000 abitanti) e il 70,4% di questi farmaci è stato erogato a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
I medicinali per il sistema cardiovascolare si confermano la categoria maggiormente consumata dagli italiani (525 dosi definite giornaliere – DDD – ogni 1.000 abitanti die) e a maggior spesa (4.194 milioni di euro, 70,3 euro pro capite). Seguono i farmaci dell’apparato gastrointestinale e metabolismo sia in termini di consumi (251 DDD ogni 1.000 abitanti die) sia in termini di spesa farmaceutica complessiva (3.601 milioni di euro).
Al terzo posto per consumi i farmaci del sangue ed organi emopoietici (249 DDD ogni 1.000 abitanti die), seguiti dai farmaci del Sistema Nervoso Centrale (164 DDD ogni 1.000 abitanti die) e dai farmaci dell’apparato respiratorio (97 DDD ogni 1.000 abitanti die).  

Opportunità di risparmio per i cittadini
Ma un aspetto è particolarmente significativo: la prescrizione di farmaci a brevetto scaduto ha rappresentato nel 2013 il 64,3% delle dosi e il 41,5% della spesa netta (con un incremento del +3,8% rispetto al 2012); di questi solo  il 14,9% è costituito dai farmaci equivalenti. Quest’ultimo dato, pur se  in crescita rispetto al 2012 (in cui rappresentava il 13,4%), tradotto in termini più comprensibili, significa che l’85,1% dei farmaci a brevetto scaduto è stato pagato direttamente dai cittadini, che hanno dovuto corrispondere di tasca propria la differenza tra  il costo del farmaco di marca senza più copertura brevettuale e il farmaco equivalente (erogato gratuitamente dal Sistema sanitario).  Un’opportunità di risparmio sprecata, a parità di efficacia delle cure.  «L’aumento della spesa farmaceutica territoriale comunicato dal Direttore generale dell’Aifa, professor Luca Pani, costituisce effettivamente un segnale d’allarme. Non solo per le finanze pubbliche, ma soprattutto per i cittadini su cui ricade una quota non indifferente della spesa farmaceutica»,  dice il presidente di AssoGenerici Enrique Häusermann. «Una parte almeno di questa maggiore spesa, però, potrebbe essere evitata – prosegue Häusermann -. Secondo i dati del nostro ‘salvadanaio’ i cittadini italiani da gennaio a giugno hanno speso 456 milioni di euro per pagare la differenza di prezzo farmaco tra generico e originale a brevetto scaduto, e già 34 milioni nella prima settimana di luglio. Una spesa di difficile comprensione, visto che esiste una notevole variabilità tra una Regione e l’altra se non tra un’ASL e l’altra».  

Sale la spesa per i farmaci high-tech
Del resto è stato lo stesso Pani a indicare come la quota di medicinali equivalenti dispensata in Italia, il 14,9%, sia molto più bassa di quella dei paesi europei di riferimento. Come sottolineato dall’AIFA, sono in arrivo nuovi farmaci molto importanti, per i quali si rischia di non avere risorse sufficienti. «E’ venuto il momento di aumentare il risparmio laddove è possibile senza mettere a repentaglio né la qualità né la sicurezza e l’efficacia delle cure»,  sostiene il presidente di AssoGenerici . «Un più ampio ricorso a equivalenti e biosimilari è oggi più che mai la chiave per poter garantire ai cittadini l’accesso ai salvavita di domani». In effetti se guardiamo ancora i dati del rapporto Osmed, si vede come i farmaci antineoplastici e immunomodulatori rappresentino la terza categoria terapeutica in termini di spesa farmaceutica complessiva (3.589 milioni di euro) e la dodicesima categoria in termini di consumi. Questi medicinali rappresentano il 40% della spesa complessiva per l’acquisto di farmaci da parte delle strutture sanitarie pubbliche e, rispetto al 2012, i dati evidenziano una crescita della spesa pari all’8,4%. Le categorie a maggior spesa sono rappresentate da farmaci innovativi, come gli anticorpi monoclonali (11,1 euro pro capite), gli inibitori del fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α) (9,7 euro pro capite) e gli inibitori della proteina chinasi (8,5 euro pro capite).

Farmaci innovativi e sostenibilità del sistema
«I farmaci innovativi portano enormi vantaggi nella cura delle malattie, ma hanno costi che mettono a rischio la sostenibilità del sistema»,  avverte Sergio Pecorelli, presidente di Aifa.  D’altronde il costo di un farmaco rappresenta la somma di un processo che parte dalla ricerca di nuove molecole e attraversa tutte le varie fasi della sperimentazione. «Su 10.000 composti iniziali – ha detto in un incontro con i giornalisti a Basilea Tim Wright, responsabile globale dello sviluppo in Novartis – solo 10 arrivano ad essere principi attivi che entrano in sviluppo clinico e di questi solo uno diventerà un nuovo farmaco». Quanto costa tutto questo processo, che in media dura 10 anni? La risposta di Wright  lascia senza parole: «Oggi lo sviluppo di un farmaco costa qualcosa come 4,6 miliardi di dollari». Investimenti che richiedono anni per essere riassorbiti e che gioco forza impongono una negoziazione non semplice con lo stato, chiamato a un esborso non trascurabile per garantire cure sempre più efficaci ai suoi cittadini. Ma come si possono conciliari questi due aspetti, cioè miglioramento della cura e sostenibilità economica? «Cercando di razionalizzare la spesa, accorciando i tempi della ricerca clinica da dieci a  tre anni e allungare il tempo di copertura brevettuale dei farmaci», propone Pecorelli. «Se si vede che un sottogruppo dà buoni risultati lo si può immettere in commercio e continuare il monitoraggio sui pazienti – prosegue il presidente Aifa -. Stiamo parlando della adaptive lincensing cioè di una licenza progressiva: se ci sono dati solidi da cui emerge che una molecola assicura risultati nella cura di una determinata malattia si procede a una preimmissione in commercio. Dopo due anni, se i risultati non sono quelli attesi, la si ritira. Si tratta per adesso di ipotesi, alle quali, tuttavia, si sta lavorando con tutti gli attori coinvolti».

Leggi http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/luso-dei-farmaci-italia-rapporto-osmed-2013