Garattini e i farmaci: ”Bilanciare il peso dell’industria con la buona informazione”

Il farmacologo denuncia: l’industria controlla quasi completamente la Ricerca, specie in Italia dove continuano ad aumentare gli studi clinici controllati organizzati da sponsor che hanno per scopo il profitto mentre diminuisce quella indipendente, segnando un -40% tra il 2008 e il 2012. Pochissimi i farmaci veramente innovativi e solo nel 12% dei casi assicurano un anno o più di buona qualità della vita.

MILANO – Il sistema della farmaceutica non sta dando buoni frutti e il problema è anche legato al dominio sulla ricerca da parte dell’industria. Il monito è stato lanciato da Silvio Garattini, farmacologo e direttore dell’Istituto Mario Negri, in un intervento formativo a Milano dedicato ai giornalisti in cui ha tracciato il quadro e analizzato una serie di dati: «Secondo un’analisi della rivista Prescrire – ha detto – su 961 farmaci approvati dal 1999 al 2008 un reale avanzamento di conoscenze e di risultati è avvenuto solo nel 2% dei casi, il che significa che abbiamo circa 18-20 farmaci che rappresentano un progresso e 940 di cui potremmo fare a meno. Ulteriori indagini avrebbero poi messo in evidenza che si tratta di farmaci non straordinariamente attivi: se analizziamo l’effetto che hanno sulla buona qualità della vita – che, non bisogna dimenticare, è uno degli obiettivi che ci si pone dall’assunzione di medicinali – vediamo che solo nel 12% dei casi danno il risultato di un anno o più di buona qualità di vita, negli altri casi si rivelano quasi completamente inattivi».

Malattie rare e ‘neglette’
C’è poi un altro dato su cui riflettere: «Abbiamo – ha detto il farmacologo – interi campi negletti: le malattie rare sono stimate in circa 7.000 e in questo quadro si ritiene che ci siano 985 prodotti che potrebbero essere attivi su una o più patologie, ma, in questi ultimi 13 anni, ne risultano approvati solo 85». Alla base di tutta questa situazione il fatto che la «realizzazione di un nuovo farmaco è spesso nelle mani dell’industria farmaceutica» e questo è evidente anche a livello legislativo: «i documenti per un nuovo farmaco o per nuove indicazioni devono essere presentati dall’industria», con un evidente conflitto di interessi.

In Italia una situazione molto negativa
Parlando per esempio degli studi clinici controllati, per Garattini «la situazione in Europa è che ogni anno se ne realizzano circa 4.400 e di questi, il 60% è direttamente sponsorizzato dall’industria farmaceutica, mentre sul restante 40% si riscontra una sua presenza, talvolta indiretta attraverso società scientifiche o altri tipi di organizzazioni. I trial multinazionali coinvolgono circa il 67% dei soggetti che fanno ricerca e questo significa che il grosso degli studi clinici controllati si gioca a livello internazionale e parte dall’industria che organizza questi studi in vari paesi. In Italia – ha aggiunto il farmacologo – la situazione è molto negativa: continuano ad aumentare gli studi clinici controllati organizzati da sponsor che hanno per scopo il profitto mentre diminuisce, in linea con l’abbandono della ricerca scientifica tipica del nostro Paese, quella indipendente, segnando un -40% tra il 2008 e il 2012».

Con un trucco anche l’ottone può sembrare oro

E in questo contesto, ci sono, ha spiegato con una metafora Garattini, «trucchi per far apparire oro quello che magari è semplicemente ottone». Per esempio impostare lo studio sulla base di un «disegno di non inferiorità» piuttosto che di «superiorità» che andrebbe più correttamente a verificare la superiorità del farmaco in oggetto rispetto al migliore disponibile, o quello di basare le conclusioni «su parametri surrogati e non su quelli terapeutici che misurano l’impatto su qualità della vita, morbilità, mortalità (per esempio ci sono alcuni farmaci oncologici che hanno un impatto nella riduzione della massa tumorale ma non a livello di mortalità)». Con alcune caratteristiche che possono avere ricadute anche nell’operatività: «Ci sono analisi che mettono in evidenza come la popolazione utilizzata negli studi clinici controllati spesso non è rappresentativa della popolazione reale: per esempio pazienti sopra i sessant’anni sono normalmente sottorappresentati, come pure la percentuale delle donne è spesso di gran lunga inferiore a quella degli uomini. Un aspetto questo che renderebbe necessari studi post clinici, che verifichino gli effetti fisici reali del farmaco» e che deve essere tenuto a mente dagli operatori sanitari, farmacisti e medici, che invece si ritrovano ad avere a che fare con la popolazione reale.
Insomma, nel complesso – secondo Garattini – una situazione non proprio rassicurante che ognuno di noi ha la possibilità e il dovere di contrastare: da qui l’auspicio che nel sistema della ricerca il peso dell’industria venga in qualche modo riequilibrato dalle «forze buone del paese», la cosiddetta accademia, che va dall’università a chiunque faccia informazione sui farmaci.

Francesca Giani